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In Breve

| 12 gennaio 2018, 11:14

La recensione: The Midnight Man

Ennesimo horror derivativo con gioco proibito e uomo nero evocato: l'inutile presenza di Robert Englund a certificare che è tutto un remake

La recensione: The Midnight Man

L’inarrestabile travaso di intelligenza creativa nella serialità televisiva ha inevitabilmente svuotato dei dovuti neuroni il cinema di genere, con particolare dolo per l’horror.  Questo è lo stato dell’arte a giudicare dall’import da Hollywood del filone, rigorosamente in copia conforme. E non fa eccezione questo Midnight Man di krugeriana memoria, non fosse altro per l’ora tarda della sua epifania e la presenza di un imbalsamato Robert Englund nel cast, accanto a un’altra vestale dell’horror come Lin Shaye, star di Insidious e con Englund nel primo Nightmare – Dal profondo della notte.

Dal profondo della notte si palesa anche questo classico uomo nero dal dress code standard – cappuccio, sorriso dentato, pelle abrasa e unghione aguzzo – evocato da un gioco idiota dentro una scatola vintage nascosta in soffitta, come un qualunque demone di Ouija.
E i trascorsi non finiscono qui: c’è il casone americano con vialetto alberato/innevato e le finestre che ridono poco; la ragazzina perbene e la nonna inquietante chiuse in casa, l’amichetto che viene a far visita nel giorno sbagliato, le ombre che sibilano, le porte che cigolano e un buio pre-elettrico, di notti gotiche a lume di candela.  E il babau sempre dietro l’angolo, un po’ Freddie, un po’ Boogeyman, un po’ Babadook. L’amichetto immaginario e cattivo venuto fuori dal Vaso di Pandora (che qui chiamano scatola perché sono digiuni di greco).

In una processione di scoperte, imprevisti, piccole seccature, flashback e morti violente, dentro il solito schema in tre atti: prologo, svolgimento, epilogo. Coazione a ripetere che significa principalmente normalizzare, rassicurare, svuotare l’orrore della sua regola, l’esercizio della paura per esorcizzare le paure. Qui invece si vendono brividi a buon mercato dietro il paravento dell’inconscio e dei terrori infantili. Il presupposto del genere ridotto a pretesto. E l’errore, la malattia, l’orrore lasciati liberi di circolare, là fuori.

Recensione tratta dal cinematografo.it

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