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In Breve

| 23 maggio 2018, 11:51

La recensione: Solo: A Star Wars Story

Personaggi e intreccio che non catturano mai. Lo spin-off sul carismatico contrabbandiere galattico è il punto più basso della saga

La recensione: Solo: A Star Wars Story

Che il progetto non si fosse sviluppato sotto i migliori auspici, vedi le ormai note traversie (“divergenze creative”) che hanno portato Phil Lord e Christopher Miller ad abbandonare la regia, era pacifico.

Come altrettanto evidente, sulla carta, era il peso che un regista come Ron Howard si è ritrovato sulle spalle nel momento in cui avrebbe dovuto dare vita ad una “origin story” in grado di non scontentare nessuno.

Perché ormai bisogna fare i conti – come è anche giusto che sia – con i cultori della saga cinematografica più iconica di tutti i tempi e, allo stesso tempo, con gli spettatori che, vuoi per età, vuoi per interesse tardivo, vuoi per tutto quello che volete, magari decidono solo ora di entrare in questo “universo”.

Ecco, Solo: A Star Wars Story crediamo riesca nella non facile impresa di scontentare davvero tutti. Personaggi imbelli e intreccio da mediocre adventure-movie anni’80, il film non cattura mai e non riesce a giustificare le sue 2 ore e un quarto di durata.

 

Come in Rogue One (il primo spin-off della saga, uscito nel 2016) la vicenda è ambientata prima dei fatti narrati nell’Episodio IV (Una nuova speranza), ma se quella era un’operazione tutto sommato riuscita, con l’inserimento di avvenimenti e character funzionali (in primis la protagonista Jyn Erso di Felicity Jones), qui l’unica cosa passabile è il modo in cui Han Solo e Chewbacca fanno “conoscenza”.

Per il resto, la sceneggiatura di Lawrence e Jon Kasdan sembra procedere per inerzia, senza davvero mai tentare di “inventare” qualcosa di significativo, magari anche rischiando, per limitarsi a tracciare una sequela di eventi, situazioni, in cui l’unico “brivido” dovrebbe essere dato dalla componente romantica (la storia d’amore tra il protagonista e Qi’ra, interpretata da Emilia Clarke, per la quale – spiace dirlo – “uscire” dalle vesti di Daenerys Targaryen sarà quanto mai difficoltoso) o, what a surprise!…, dalla vena doppiogiochista e voltagabbana di alcuni personaggi.

Ma il più clamoroso miscasting (com’era anche facilmente intuibile dalle prime foto di scena rilasciate) è quello relativo al personaggio di Han Solo, con il trasparente Alden Ehrenreich chiamato ad ereditare un ruolo – quello di Harrison Ford – che sarebbe stato azzardato affidare anche ad attori più affermati di lui.

Carisma zero, simpatia irrintracciabile, Ehrenreich (al quale forse sarebbe anche convenuto ricorrere ad un cognome “d’arte” per sperare di rimanere più impresso) è costretto a barcamenarsi suo malgrado, tra un inseguimento e un altro, un bacio all’amata, una separazione dolorosa e una rentrée, un’alleanza con un altro avventuriero (Beckett, interpretato da Woody Harrelson) che in qualche modo possiamo considerare suo mentore, e un paio di partite a carte con Lando Calrissian (personaggio che già avevamo conosciuto in L’impero colpisce ancora, qui interpretato da Donald Glover, il cui Childish Gambino di This is America è decisamente più impattante), primo proprietario del Millennium Falcon.

Ecco, evitando accuratamente di svelare qualcosa di più sulla trama, sul perché Han Solo si chiama “Solo” (…), su quali siano le trame oscure dei Sith, in realtà solamente accennate, e su quale destino avrà la love story tra Han e Qi’ra, vi rimandiamo al 23 maggio.

Quando il film – dopo la presentazione Fuori Concorso al Festival di Cannes (con una dimostrazione di forza pazzesca, sia per quello che riguarda il red carpet sia per quello che riguarda il party alla plage del Carlton Hotel, con tanto di spettacolo pirotecnico) – uscirà in Italia e successivamente in tutto il resto del mondo.
A vostro rischio e pericolo.

Recensione tratta dal cinematografo.it

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