Ada Negri (Lodi 1870- Milano 1945) e Antonia Pozzi (Milano 1912-Milano 1938), le Poetesse del fiume Ticino: ne videro entrambe le azzurre acque, ne respirarono l’aria, ne odorarono i profumi del boschi e dei sottoboschi, trassero godimenti del canto degli uccelli e di quelle vite che ne popolavano le rive.
Antonia, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo volgendo lo sguardo da questo luogo giù verso il fiume, Ada, sia agli esordi della sua attività di insegnante elementare a Motta Visconti , dall’alto della costa che attraverso una ripida discesa ne portava alla sue rive, sia durante i diversi periodi di soggiorno in quel di Pavia.
Cosi di lei ricorda nei suoi scritti Monsignor Cesare Angelini, a partire dal primo incontro nel 1927,:” Sul filo dell’amicizia con una gentildonna pavese — Luisa Boerchio — un giorno Ada Negri venne tra noi a Pavia col suo dono poetico. E da non so quanti anni, al giungere dell’autunno — quando sulla nostra terra i giorni si fanno più nudi e l’umido e le nebbie fanno cercare un angolo accogliente — ella lasciava Milano e tornava nel tiepido nido che l’amicizia le preparava. Vi si fermava due mesi, tre mesi, cinque mesi. Magari s’annunciava a qualcuno: «La settimana prossima lascerò il mio solaio di Viale dei Mille e Bianca e Donata [la figlia e la nipote, ndr], e verrò a Pavia. Vivere nella vostra città è un premio che mi voglio concedere anche quest’anno. Pavia mi chiama. Le strade, le torri, il ponte…». Pavia le piaceva e la sua natura rustica e preziosa, il suo silenzio così idoneo alla meditazione dei poeti. Vi trovava tranquillità, raccoglimento, riposo dell’anima e del corpo, e ispirazione.
Anime belle e buone dalla vita sentimentale travagliata: Antonia morirà suicida in giovane età per l’amore contrastato studentessa nel liceo classico Manzoni di Milano intreccia con il suo professore di latino e greco Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 a causa di forti ingerenze da parte dei suoi genitori, il padre in particolare, e da qui poi più tardi seguirà quel fatale gesto;Ada, segnata da quell’intenso e forte amore giovanile con Ettore Patrizi, un amore pieno, intenso, appassionato, una lunga corrispondenza epistolare, che dopo la partenza del Patrizi per l’America, nel 1893 terminerà nel 1896 con l’ultima lettera e che sancirà la fine di questo rapporto d’amore, sarà infine “vittima” di uno sbrigativo e presto fallimentare matrimonio con Giovanni Garlanda,industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la figlia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e un’altra bambina, Vittoria, che morì a un mese di vita.
Rimandando il lettore più interessato alla loro estesa biografia e alle loro complete fatiche letterario ci limiteremo nel riportare in questa breve nota “frammenti” della loro prosa o versi dal dolce e sapore romantico per questo “loro” fiume: il Ticino!
Così annotava nel 1938 Antonia sul suo Diario poco prima della morte : “Ieri, sull’argine del Ticino, dove il fiume fa un’enorme ansa e la corrente si attorce in gorghi azzurrissimi, e ha subbugli, scrosci, rigurgiti improvvisi e minacciosi, sono rimasta per un’ora sulla riva in faccia al sole che tramontava, a chiacchierare con un guardiacaccia che fu al servizio del mio nonno e si ricorda della mia mamma e delle mie zie bambine. Ebbene: era un senso strano pensare che tutta questa smisurata terra, i campi coltivati da Motta a Bereguardo, e i boschi della riva, dal lido di Motta fin giù al ponte di barche, con i diritti di pesca, di caccia, di cava d’oro persino, erano proprietà unica dei miei antenati. Io non so che cosa pagherei per potermi costruire qui, in vista del Ticino, due stanze rustiche e venirci a stare; le mie radici aristocratiche non le sento molto, nemmeno qui, ma le mie radici terriere sì, in modo acuto e profondo, e gli uomini dietro l’aratro mi incantano, non solo per un senso di armonia estetica”
Anni prima ( Milano, 24 Aprile 1929) così metteva in versi:
“Ricordo che, quand’ero nella casa
della mia mamma, in mezzo alla pianura,
avevo una finestra che guardava
sui prati; in fondo, l’argine boscoso
nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c’era una striscia scura di colline.
Io allora non avevo visto il mare
che una sol volta, ma ne conservavo
un’aspra nostalgia da innamorata.
Verso sera fissavo l’orizzonte;
socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.”
Durante il suo soggiorno a Pavia così scriveva Ada:
“Dalle mie scorribande per calli e callette,chiese e chiesette, piazze e chiassuoli non vorrei mai ritornare, non avvertendo neppur la stanchezza fisica, per il giubilo delle scoperte: se non fosse per ritrovare la postierla della casa ospitale, gli stanzoni di largo fiato, dove il riposo è veramente riposo del corpo e dell’anima.
Spesso, qui, mi viene incontro qualcosa di me,qualcuno ch’era me, e che credevo di aver dimenticato. Quei boschi del Ticino, che oltre e campi e gli orti scorgo dal balcone della mia camera al limite dell’orizzonte, chiamano di frequente il mio sguardo. Non riesco a vedere il fiume. Ma mi sorprendo a navigare lungo la limpida corrente, come nel tempo in cui ero, laggiù, maestrina in un villaggio di battellieri. A un punto perduto del fiume, un guado: una spiaggetta ghiaiosa, e foreste percorse dal brivido delle acque divise in rami di canaletti: le foreste di Motta Visconti. Nome che mi porta alle narici odor di pane caldo, appena tolto dal forno nelle prime ore dell’alba: odore di giovinezza.
Così poi canterà in “Ritorno a Motta Visconti”:
“Ella dintorno si guardò, tremando,
e riconobbe la selvaggia e strana
terra che a fiume si dirompe e frana
entro l’acque, che fuggon mormorando.
Il guado antico riconobbe e il prato
e le foreste, azzurre in lontananza
sotto il pallor dei cieli:
e il passato di lotta e di speranza,
il suo ribelle e splendido passato
ricomparve, senz’ombra e senza veli.
Piegavano gli steli
intorno, ed ella respirava il vento:
vento di libertà, di giovinezza,
soffio di primavere
sepolte, belle come messaggere
di gloria, piene d’ali e di bufere
violente e d’immemore dolcezza!…
Ora, silenzio. – Un battere di remi,
solitario, nel fiume: un lontanare
di cantilene lungo l’acque chiare,
e nel suo petto il cozzo de’ supremi
rimpianti. – Oh, prega, anima che t’infrangi
a l’onda dei ricordi travolgente
come tempesta a notte:
anima stanca in vene quasi spente,
così giovane ancora, oh, piangi, piangi
con tutte le tue lacrime dirotte
qui dove i sogni a frotte
ti sorrisero un giorno!… Ora è finita. –
… E strinse fra le mani il capo bruno:
a lei da la profonda
coscienza, com’onda chiama l’onda
nel plenilunio a fior de l’alta sponda,
salivano i ricordi ad uno ad uno.
E rivide la vergine ventenne
con la fronte segnata dal destino
sfioran diritta il ripido cammino,
baldo aquilotto da le ferme penne.
La nuda stanza fulgida di larve
rivide, e il letto da le insonnie piene
di cantici irrompenti;
ed il sangue gittato da le vene
robuste, il sangue di veder le parve,
ne la febbre de l’arte sugli ardenti
ritmi a fiotti, a torrenti
gittato. – E i versi andarono pel mondo,
da la potenza del dolor sospinti;
e parvero campane “
Giuseppe Casarini
Articolo in collaborazione con www.ticinonotizie.it