Nonostante la fredda giornata di gennaio, stamattina (venerdì) erano in molti presso l’Abbazia di Sant’Albino, vicino a Mortara, per la tradizionale benedizione degli animali, oggi sostituita il più delle volte da quella dei grandi trattori, che con il loro allegro rombo hanno dato il benvenuto al Santo che segna la fine dell’inverno e l’imminente arrivo della bella stagione.
Anche la piccola chiesa era occupata da tante persone che, raccontavano la storia di un piccolo mondo, ricco di storia e fede. Un esempio tangibile di come le tradizioni sono rispettate cercando di trasmetterle alle generazioni future.
Un mondo, quello agricolo, basilare l’economia della Lomellina e denso di amore per la terra, gli animali, la natura. Eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati, Sant’Antonio abate, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio el Fuoco, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta, ogni 17 gennaio è festeggiato in tutta la penisola, con le benedizioni agli animali domestici e i falò che si accendono e che hanno dato vita alla festa del Falò di Sant’Antonio.
Il fuoco è da sempre uno dei simboli legati alla figura di Sant’Antonio, poiché alcune patologie caratterizzate da esantemi cutanei hanno il nome di Fuoco di Sant’Antonio, oltre a una serie di manifestazioni folkloristiche di ogni genere.
L’Abbazia di Sant’Albino che ha fatto da sfondo a questa lieta ricorrenza, ha mantenuto l’originaria costruzione romanica dell’abside, risalente al XII secolo, mentre gli adattamenti della facciata e della navata sono rinascimentali. L’elegante campanile cuspidato che si eleva nel fianco sinistro, ricostruito dopo essere stato raso al suolo nel 1253 dalle milizie milanesi, ha una forma quadrangolare e culmina con la cella campanaria sormontata da una cuspide ottagonale.