Cronaca - 28 marzo 2020, 13:17

Abbiategrasso: l’urlo e la ‘garra’ di Domingo Grollino sono arrivati in Cielo. Riposa in pace, e grazie per la ‘garra’ che hai sempre messo nella tua vita

Morto a 48 anni il ragazzo di origine argentina ospite per anni di Anffas

Abbiategrasso: l’urlo e la ‘garra’ di Domingo Grollino sono arrivati in Cielo. Riposa in pace, e grazie per la ‘garra’ che hai sempre messo nella tua vita

Ha la garra chi dà il meglio di sé in situazioni vivi-o-muori, chi non indietreggia mai, chi lotta (cliché alert #1) con le unghie e con i denti, chi (cliché alert #2) sputa il sangue, chi (cliché alert #3) lotta fino all’ultimo respiro. La garra charrúa è tenacia & coraggio, non come valori assoluti di per sé ma come rimedio alle avversità. Insomma, il propellente che rende l’impossibile possibile.

Se stai leggendo questo pezzo, e sei arrivato (almeno) fino a qui, è quasi certo che tu NON sappia cosa sia la ‘garra’. O sei appassionato di calcio sudamericano (e non parliamo di Brasile o Argentina, parliamo di Bolivia o Colombia), o sei appassionato di pallacanestro e sai di che si parla quando si dice ‘generacion dorada’, ossia la inimitabile nazionale argentina di Manu Ginobili, Andres Nocioni, Luis Scola e Carlos Delfino che vinse le Olimpiadi del 2004 (contro l’Italia) ed è una delle squadra di maggiore misticismo nella storia dello sport. Diversamente, è abbastanza ‘pacifico’ che il termine ti suoi come estraneo. (Ina)udito.

Forse però avrete conosciuto o sentito il nome di Domingo Grollino, personaggio a suo modo notissimo nell’Abbiatense e dintorni. Ecco, Domingo aveva la garra. Una voglia di vivere inchiodata sulla sedia a rotelle che reggeva un corpo che ormai non rispondeva a nessuno dei suoi comandi, e dei suoi desideri. 

Avrò personalmente incrociato Domingo una decina di volte, ma sempre da lontano. Perché a me sinceramente, tutta quella voglia di vivere, incuteva un certo timore. L’amico Stefano Redondi, che ha fatto il volontario in Anffas per anni, mi aveva invitato per anni ad andare lì una notte per conoscerlo e vedere come viveva, assieme agli altri. Non ci sono mai andato. Certa forza, capace di scuotere nel profondo le nostre amabili vite sedentarie (pre virus, ovviamente), crea anche una naturale distanza.

Questa mattina Anffas e i Sognatori di Abbiategrasso (che, come ci ha ricordato spesso Sara Valandro, nacquero praticamente in occasione di un evento con lui) hanno annunciato che Domingo (il quale nel frattempo non abitava più al Melograno) è morto. Domingo e il suo Urlo, titolo del libro che scrisse, non c’è più. Urlo e ‘garra’ si sono trasferite in Cielo.

Nel 2011 l’amica  e collega Giovanna Fagnani scrisse un bellissimo ritratto di Domingo sul Corriere della Sera. Leggiamone un estratto.

“E’ giunto il momento di vestirmi: mutande, maglietta, pantaloni… Lo potrei fare io. Ma come si fa? Non posso farlo! Mi viene da piangere. E forse lo faccio, anche senza lacrime. Ma sì, sono un po’ patetico. Ma no, devo andare avanti. E allora andiamo avanti. Vaffanculo!”. Domingo Grollino ha 39 anni e da tempo parla agli amici solo scrivendo. Sul computer, con un programma speciale, ma soprattutto via sms. Digita i messaggi con il pollice sinistro: insieme agli occhi, è l’unica parte del suo corpo che riesce ancora a muovere come vuole. Il suo corpo non gli risponde, è diventato, come dice lui, il suo “despota”. La colpa è della malattia rara di cui soffre: la sindrome di “Hallervorden -Spatz” o  neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro. E lo scontro fra i due è diventato un libro, scritto, naturalmente, via sms. 

“L’URLO” – Come si vive 24 ore su 24 senza poter far nulla di propria volontà? Come si affronta la vergogna di dover dipendere da qualcun altro anche per abbassare i pantaloni e sedersi sul water? Queste e altre sensazioni Domingo per molto tempo le ha condivise vi ams con gli amici. Oggi sono diventate un libro intitolato “L”urlo”, e edito dall’Anffas onlus di Abbiategrasso , che gestisce la comunità socio sanitaria “Il Melograno” dove Domingo vive. 

 Domingo è stato bambino e poi un adolescente come gli altri. Nato in Argentina, dove i suoi genitori italiani si erano trasferiti, passava le giornate con gli amici, a giocare a calcio o a nuotare. Inoltre, lavorava come falegname. Tutto è cambiato a sedici anni, con la comparsa dei primi sintomi della rarissima malattia autoimmune: le distonie, cioè i movimenti involontari, il parkinsonismo e poi la perdita delle capacità motorie e tutto il resto. Ora vive su una sedia a rotelle. La sua famiglia nel 1990 è tornata in Italia, alla ricerca di una cura per lui. Dal 2002 il giovane vive all’Anffas e trascorre i fine settimana con i suoi familiari.

Quasi 20 anni, quelli spesi da Domingo ad Abbiategrasso (e nella struttura dove ha trascorso la sua ultima parentesi di vita terrena).

Di certo, quando uno sguardo come quello di Sara Valandro nella foto con Domingo che riportiamo qui sotto ti raggiunge, significa che esiste qualcosa di più forte e grande della vita terrena. C’è, ci deve essere, una dimensione ulteriore. Ce lo ha dimostrato la grande letteratura russa, l’urlo (anche il suo..) di Dostoevskij, col disperato (ma ricco di speranza) ‘se Dio non esiste, tutto è permesso’.

Ma noi sappiamo che non è concepibile una Vita senza Speranza. E allora, per congedarci da Domingo (e per scusarlo del fatto che lo scrivente non ebbe mai il coraggio di carezzargli il viso, di salutarlo), riportiamo le parole senza tempo che T.S. Eliot dedicò alla morte di chi- come lui- rimane per sempre incastonato nella mente (e nella vita) di quanti sono stati toccati da lui. E dalla sua ‘garra’. Adios, gaucho.

F.P.

Ecco, ora scompaiono i volti e i luoghi. Assieme a quella parte di noi che li aveva amati. Per rinnovarsi, trasfigurati, in un’altra trama”.

Articolo tratto dal nostro sito partner www.ticinonotizie.it

 

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