In questi giorni stiamo assistendo sui giornali e sulle tv nazionali a un dibattito lunare o quanto meno fuori dalla storia su chi potrà essere ammesso o meno alle tavolate natalizie e al cenone, in questi tempi di emergenza sanitaria, come se ciò rappresentasse il problema principale dell’Italia su cui arrovellarsi e fare proposte, per stabilire se al desco possano starci i nonni piuttosto che gli zii, o i cugini di primo grado piuttosto che gli acquisiti.
Il Natale è importante e nessuno lo nega, sia dal punto di vista religioso che affettivo e famigliare ma non può rappresentare il futuro del nostro Paese. Oggi siamo chiamati a delineare come sarà l’Italia non solo del 2021 ma anche quello degli anni a venire a partire dal 2022, ma evidentemente le classi dirigenti sembrano non accorgersene o fare finta di niente. Certo è più facile e comodo discutere di cenoni che non di prospettive sociali ed economiche, a meno che non confondiamo lo scambio dei regali sotto l’albero come politiche famigliari, o i vari bonus e la loro proroga come scelte di politica industriale.
C’è un Recovery Fund da difendere che da quanto si sente in Europa non è più così scontato come sembrava viste le resistenze di “sovranisti” e “frugali” e soprattutto ci sono delle idee da mettere sul tavolo. Oggi si costruisce l’Italia di domani. Le urgenze sembrano essere due. Quali politiche famigliari vogliamo per evitare che tra qualche anno la media dei figli generati passi sa 1,1 a 0 portando così l’Italia alla morte demografica? Quali politiche industriali vogliamo attuare perché il valore delle persone e delle imprese torni ad essere motore di sviluppo dell’Italia? Domande che per troppo tempo sono state eluse dalla politica ma che non possono essere più rinviate. Non c'è più tempo di aspettare, nemmeno fino al cenone di Natale.