Una professoressa, neanche laureata, firma contratti per 21 anni alle superiori; scoperta, le viene sequestrato un vero patrimonio (350mila euro), tra somme e beni vari. Possibile? Nulla è impossibile.
Se non fosse che questa storia mette alla berlina il sistema delle autocertificazioni, in cui tutto è in capo alle scuole, che - oberate come lo sono le segreterie oggigiorno - dovrebbero mettersi a chiedere alle università gli attestati (a quando un sistema che, con un clic, ti permette di accedere a questi dati?).
Se non fosse che questa vicenda mette a nudo il sistema bizantino di abilitazione all’insegnamento, fatto di esami, 24 CFU, corsi, ricorsi, sentenze, concorsi ordinari, straordinari e riservati.
Se non fosse che tutti quei beni e somme sequestrati sono uno sberleffo a chi, titoli reali alla mano, lotta per anni con Inps per avere disoccupazione pagata a luglio e agosto.
Se non fosse che, lungo 21 anni, parliamo di centinaia tra alunni, famiglie e colleghi passati sotto traccia.
Se non fosse che tutto e tanto altro, ci sarebbe da dire: deve essere proprio un gran bel mestiere (lo è eccome), se - pur di poterlo fare - uno costruisce un simile castello di bugie.
Se non fosse che c’è da piangere.