La Procura di Bergamo ha concluso il 20 febbraio scorso le indagini nei confronti di 17 persone che avario titolo, hanno gestito la risposta alla pandemia da Covid-19.
Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Bergamo, sono state – come si legge nel comunicato della Procura a firma del procuratore Antonio Angelo Chiappani – “articolate, complesse e consistite nell’analisi di una rilevante mole di documenti acquisti e/o sequestrati, sia in forma cartacea che informatica, presso il ministero della Salute l’Istituto Superiore di Sanità, il Dipartimento della Protezione civile Regione Lombardia, Ats, Asst l’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano Lombardo, nonchè di migliaia di mail e chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall’attività investigativa, oltre che nell’audizione di centinaia di persone informate sui fatti, attività questa alla quale hanno partecipato anche in prima persona i Pm delegati”.
“Detta attività che, si ribadisce, è stata oltremodo complessa sotto molteplici aspetti e ha comportato altresì valutazioni delicate in tema di configurabilità dei reati ipotizzati, d competenza territoriale, di sussistenza del nesso di causalità ai fini dell’attribuzione delle singole responsabilità, ha consentito innanzitutto di ricostruire i fatti così come si sono svolti a partire dal 5 gennaio 2020.
All’esito dell’attività – conclude la nota – la Procura ha pertanto redatto l’avviso di conclusione delle indagini”. Riguardo al piano pandemico mai aggiornato né attuato, nelle pieghe dell’inchiesta è venuto a galla pure uno scontro tra il ricercatore dell’Oms Francesco Zambon e l’allora direttore vicario dell’organismo Ranieri Guerra, che è finito indagato per false dichiarazioni ai pm.
Infine, a portare ad allargare l’indagine a Conte, Speranza, al Governatore lombardo Fontana, all’ex assessore Gallera e ai molti tecnici, si è aggiunta la maxi consulenza di Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova.
Consulenza che ha confermato, attraverso una serie di dati, che le omissioni su cui la Procura stava lavorando sono state una sorta di acceleratore nella diffusione del virus che, quando fu diagnosticato il caso del Paziente 1, già circolava e aveva infettato un centinaio di persone nella Bergamasca.