Parla mai di Chiara? Alberto ne ha parlato spesso e ancora oggi lo fa, ma sa che è pericoloso per lui. Qualsiasi cosa dica su Chiara potrebbe essere interpretata in maniera negativa». Così Giada Bocellari, avvocata di Alberto Stasi – condannato in via definitiva per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007 – è intervenuta durante un’intervista rilasciata a Milo Infante nella puntata di Ore 14 Sera andata in onda ieri su Rai 2.
Bocellari ha ripercorso il suo rapporto professionale e umano con Stasi, spiegando di averlo conosciuto quando era una giovane praticante nello studio dell’avvocato Giarda, il primo difensore dell’imputato. «Alberto è una persona intelligente, lucida, orientata, razionale e consapevole — ha dichiarato —. È dotato di molta resilienza e di una forte interiorità, qualità che gli hanno permesso di affrontare le fasi dei processi e la detenzione senza perdere equilibrio».
L’avvocata ha poi criticato duramente l’impianto investigativo che portò alla condanna di Stasi. «L’errore più macroscopico degli inquirenti — ha sostenuto — è stato quello di innamorarsi fin dall’inizio della tesi del fidanzato assassino, fermandosi a quella versione e trascurando altre piste potenzialmente rilevanti». Secondo Bocellari, questa rigidità avrebbe contribuito a limitare l’approfondimento di scenari alternativi che, a suo avviso, avrebbero meritato maggiore attenzione.
Guardando ai suoi anni di difesa, la legale ha riconosciuto anche alcune responsabilità personali: «Il mio errore? Aver sottovalutato l’aspetto mediatico del caso. Ho sempre pensato — e lo penso tuttora — che i processi si facciano nelle aule dei tribunali. Ma l’esperienza mi ha insegnato che la narrazione pubblica può incidere eccome». Bocellari ha ricordato come, durante gli anni del processo, molte immagini e titoli dei media abbiano contribuito a costruire un’immagine distorta dell’imputato: «Basta pensare alle foto che lo ritraevano con gli “occhi di ghiaccio”: Alberto è stato condannato prima dall’opinione pubblica e solo dopo dalla giustizia».
L’intervista ha riacceso il dibattito su uno dei casi più controversi della cronaca nera italiana, che continua a dividere opinione pubblica e addetti ai lavori a distanza di quasi vent’anni.




