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Attualità | 05 aprile 2020, 17:34

Lettere al Direttore: COVID-19 e lutto: cosa può fare il territorio?

Riceviamo e pubblichiamo integralmente

Lettere al Direttore: COVID-19 e lutto: cosa può fare il territorio?

I decessi in seguito a infezione da COVID-19 hanno una serie di caratteristiche che espongono i superstiti ad un elevato rischio di complicazione del lutto.

Questi decessi si differenziano, in primis, per la modalità in cui si compie il processo del morire e, poi, per quello che succede subito dopo la morte e nei giorni immediatamente successivi.

L’annuncio della morte è fatto tramite una telefonata: nessuno sguardo, nessun contatto. Senza nemmeno l’ultimo saluto. Le reazioni sono drammatiche. In questo momento della vita in cui sono più necessari il corpo dell’altro, il suo sguardo e la sua parola, essi non ci sono e per chi sta morendo e per chi sopravvive resta soltanto l’eco straziante del pensiero.

Non ci sarà il conforto della vestizione, i consueti riti che da millenni accompagnano le prime ore della perdita e del lutto, sono totalmente cancellati. È cancellato il conforto che viene dalla vicinanza fisica di parenti, amici, vicini. Dalla condivisione del dolore. Manca il corpo della persona amata. Tutto avviene al di fuori del nostro controllo, la possibilità di guardare la morte e di prenderne completamente atto.

Il senso di impotenza è devastante. Vengono a mancare come l’accompagnamento verso la morte durante gli ultimi giorni e la presenza al momento del decesso. L’assenza di questo accompagnamento è ulteriormente aggravato dalle modalità della separazione per il ricovero e dalle operazioni immediatamente post-decesso.

L’assenza di qualunque tipo di ritualità sociale e il completo isolamento sociale per alcune settimane visto che i superstiti sono in quarantena; poi la rabbia in aggiunta a tutti questi elementi che è un modo irrazionale per dare un significato alla morte, la rabbia verso il sistema sanitario, politico che non è stato in grado di prevedere e di prevenire. L’unica piccola consolazione può derivare dal fatto che la morte del proprio familiare sia parte di una più grande tragedia collettiva e restituisce così, nella condivisione sociale del dolore, un senso di appartenenza alla storia comune.

Cosa può fare il territorio, la comunità tutta per cercare di non far sentire solo chi ha dovuto fare i conti con i vissuti e le rappresentazioni di chi non ha potuto dare e ricevere conforto nell’immediatezza della morte, con lo strazio di non poter salutare chi sta morendo e di non aver potuto dire, magari con una sola parola, l’amore, l’affetto di una vita? Il territorio si deve servire degli psicologi per ridurre i fattori di stress, recuperare e valorizzare le risorse, favorire il cambiamento, rinforzare la resilienza.

In assenza del rito c’è molta difficoltà a iniziare il processo elaborativo del lutto. È infatti il rito costituito da molti elementi individuali, familiari e sociali che si snodano nel tempo che sancisce il trapasso che ha avuto luogo. Senza riti tutto resta sospeso in una dimensione di incredula e demolente incertezza. Il percorso terapeutico del lutto è un percorso di consapevolezza, di senso e di ricostruzione: quello che è stato e non potrà più essere, quello che avrebbe potuto essere e quello che potrà comunque essere. E poi, ma prima di tutti, ci sono i bambini.

Sballottati dentro una realtà che non capiscono, che vedono persone scomparire, persone con le quali fino al giorno prima ridevano e giocavano e che spesso erano le principali figure di accudimento, i nonni, per loro è ancora più importante ritrovare subito una dimensione riconoscibile. Partecipare ai rituali del lutto è una esperienza positiva anche per i bambini perché gli consente di sentirsi parte attiva nel commiato, sostenuto da altri familiari. Dentro il rito è inoltre consentita l’espressione del dolore e il bambino ha la necessità assoluta di poterlo fare.

Come allora la comunità può attuare i rituali in questa situazione in cui quelli soliti sono proibiti e quando non si può nemmeno uscire di casa? Chiedere al parroco di celebrare la messa funebre nel cortile oppure sulla strada sotto l’abitazione. È necessario che gli psicologi, insieme al governo del territorio, lavorando in rete con le aziende socio-sanitarie territoriali, suggeriscano, facendo uno sforzo di creatività, riti di accompagnamento e commiato che dovranno essere di tipo familiare. Piccoli riti, magari ripetuti più volte al giorno.

Una componente essenziale è la narrazione: nella narrazione si ricostruisce la figura di chi è morto e le si da intierezza. Nella narrazione si prefigura il viaggio che il defunto va iniziando e lo si rassicura, rassicurando noi stessi nello stesso tempo, che lo porteremo sempre con noi, nel nostro cuore. È necessario quindi costruire riti, anche attraverso la narrazione, verbale o grafica, comprendendo gli elementi dell’accompagnamento e del commiato. È necessario raccogliere e accogliere la domanda di ascolto.

È indispensabile che ogni territorio si faccia promotore di una grande iniziativa costituendo un gruppo di psicologi che si sentano di lavorare con le persone in lutto da COVID-19, adulti e bambini, studiando il modo per farlo telematicamente in modo efficace. Sarà importante e necessario anche organizzare incontri di gruppo telematici tra le persone che hanno avuto uno o più lutti, moderati da uno psicologo, coinvolgendo nella sensibilizzazione sindaci e assessori, di modo che gli “utenti” percepiscano che è una iniziativa del territorio.

Una volta passata l’emergenza, sarebbe auspicabile effettuare eventi di ritualità collettiva secondo le forme che ogni comunità riterrà opportune, non necessariamente lutti nazionali ma eventi intimi quasi sommessi perché i significati si costruiscono e si ri-costruiscono dentro le relazioni e quello da ricostruire, adesso, è il significato della vita. Un servizio, inoltre, non necessariamente rivolto solo a famiglie e privati cittadini.

Gli operatori sanitari in queste settimane stanno vivendo situazioni di forte stress: offriamo ai colleghi che operano nel settore sanitario il maggior supporto possibile per evitare l’insorgenza di reazioni di stress traumatico secondario. Medici, infermieri, Oss, psicologi sono sottoposti a condizioni eccezionali di stress fisico e mentale. Per gli imprenditori e per i lavoratori che stanno vivendo una battaglia importante, tra l’esigenza di tutelare la propria salute (e quella dei propri familiari) e la necessità di non mettere a repentaglio gli equilibri finanziari e gli assetti produttivi del contesto di lavoro.

È opportuno intervenire adesso. Fornire subito supporto, consulenza, sostegno, informazioni ai cittadini che si trovano in difficoltà. Per gestire e contrastare le conseguenze psicologiche del Coronavirus e non attendere che l’evento traumatico possa scardinare l’equilibrio psichico di ciascuno. Per questo è necessario facilitare l’accesso ad un servizio di sostegno psicologico di natura terapeutica. Prevenire è meglio che curare: il detto vale anche in questo caso.

Dott.ssa Valentina Bonomi Psicologa e psicoterapeuta in formazione

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