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Sport | 25 ottobre 2022, 16:11

Ciclismo: elogio di Davide Rebellin, che ha portato a spasso il tempo - di Teo Parini

Ciclismo: elogio di Davide Rebellin, che ha portato a spasso il tempo - di Teo Parini

Quando Davide Rebellin diventa un ciclista professionista il mondo che ha intorno è molto diverso da quello che si racconta oggi. Era il 1992, con il trattato di Maastricht ancora da firmare, la stagione di tangentopoli agli albori e la guerra in Bosnia che deflagra in tutta la sua violenza.

Nello sport, Steffi Graf e Andre Agassi, ancora lontani dall’essere marito e moglie, vincono in contemporanea i rispettivi tornei di Wimbledon poco prima che a Barcellona si alzi il sipario sulle XXV Olimpiadi, quelle del compianto Fabio Casartelli.

E mentre gli Alice in Chains danno alla luce Dirt, Rebellin indossa la divisa della GB-MG e comincia a scalciare molto forte sui pedali, primavera di una storia d’amore lunga tre decadi. Paradigma vivente di incrollabile fedeltà a uno sport meraviglioso, anche negli inevitabili periodi difficili. Quelli della presunta positività al famigerato dopante Cera, per esempio. Sette anni di sofferenza gratuita e gogna mediatica annessa poi l’assoluzione per un fatto che non sussiste. Con la giustizia che si porta via per sempre un pezzo di vita e una medaglia, quella di Pechino 2008, indebitamente sottratta per i motivi di cui sopra e mai restituita.

Se oggi dici Triplete e pensi sempre all’Inter di Mourinho, c’è stato un tempo in cui a piazzare un irripetibile tris fu proprio Davide. Anno di grazia, il 2004, piena campagna del Nord con le Fiandre che, come consuetudine, hanno da poco ceduto il testimone alle Ardenne, per una settimana (santa) elevate a epicentro del ciclismo mondiale. In rapida successione Rebellin mette la ruota davanti a tutti – primo ciclista nella storia a riuscire nell’impresa, poi eguagliato solo da un monumento come Gilbert – all’Amstel Gold Race, poi alla Freccia Vallone in cima al Muro di Huy e, infine, alla Liegi, la Decana. In quel momento, il veronese è senza ombra di dubbio il più forte corridore in attività per le gare di un giorno.

La sua è una carriera ricca oltre che infinita. Più di sessanta le vittorie tra le quali spiccano, in aggiunta, una Classica di San Sebastian, un Campionato di Zurigo, altre due Freccia Vallone, una Tirreno-Adriatico, una tappa al Giro d’Italia più svariate classiche del nostro calendario: Emilia, Veneto, TreValli e chissà quante altre che adesso non ci vengono in mente.Classe 1971, dunque cinquantuno primavere quale fardello sulle spalle, e una forma fisica da far invidia a colleghi con la metà dei suoi anni, Rebellin ha scelto non a caso la Veneto Classic, gara che si disputa sulle strade di casa, per congedarsi dal professionismo.

Così, con il supporto della sua squadra, la Work Service Vitalcare Vega, lo scorso 16 ottobre ha appiccicato per l’ultima volta il numero sulla schiena per lanciarsi pancia a terra in gruppo. Trentesimo sul traguardo e nemmeno troppo lontano da Hirschi, il giovane vincitore di giornata, a testimonianza di qualità atletiche e morali che anche Chronos fatica a domare. Un anno di ritiri eccellenti da digerire questo 2022, con Rebellin che è decisamente in ottima compagnia giacché hanno scelto di dire basta campioni epocali come Valverde, Nibali e Gilbert. Un pezzo di storia recente del ciclismo d’autore che appende le scarpette al chiodo.La parabola sportiva di Davide Rebellin è densa di significato, didattica.

Incarna, infatti, l’importanza di coltivare senza riserve una passione che, nello specifico, si traduce nel rispetto per uno sport che è impareggiabile disciplina di vita perché, proprio come la vita, contempla l’alternanza sinusoidale di gioia e sofferenza. 

Situazioni antitetiche che si susseguono senza soluzione di continuità che siamo chiamati a gestire, ogni volta, con la dovuta misura. Rammenta, inoltre, il dovere, che poi è un privilegio, di darsi una prospettiva. Perché, se purtroppo non risponde al vero l’assioma per il quale nulla è impossibile, è vero altresì che per provarci, e quindi fornire di noi stessi la migliore versione possibile, non è mai troppo tardi.

Per questi spunti e per tutti i pomeriggi trascorsi insieme accomunati dallo stesso amore per la bicicletta, a Davide, strenuo portabandiera dell’arte nobile della fatica, va il nostro ringraziamento e l’augurio di un altro mezzo secolo di pedalate. Fatte di testa, cuore e le gambe che restano.

Teo Parini

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