Fritz, Murray, Rune, Daniel, Shevchenko, McDonald. Cos’hanno in comune oltre a essere tennisti di professione, si intende? Facile, sono i giocatori che in ordine cronologico hanno sconfitto Matteo Berrettini in questo tribolato inizio di 2023.I primi tre dell’elenco sono giocatori che, globalmente, o gli sono superiori o nella migliore delle ipotesi sono di pari rango tennistico. Nulla di grave, dunque. L’ultimo, invece, è uno che ha iniziato la stagione col botto battendo Nadal e sul cemento, da stereotipato americano, è nella sua zona confortevole.
I restanti due, infine, non sono certo sprovveduti, ma aver perso contro di loro, per Matteo, può essere annoverato come sorpresa. Un piccolo campanello d’allarme.
Matteo Berrettini, già finalista a Wimbledon, frequentatore del Masters di fine anno, con sette titoli in bacheca e un best ranking da numero sei al mondo, non era un fenomeno nei giorni belli e non è diventato un brocco adesso che sembra non riuscire più a vincere. Lapalissiano ma occorre ribadirlo, perché, si sa, gli addetti ai lavori e gli aficionados da divano hanno spesso la memoria corta e i giudizi roboanti acchiappalike sono sempre buoni per tenerli in auge, anche quando sono buttati lì a casaccio.
Infatti, adesso che i risultati tardano ad arrivare, lo stanno letteralmente massacrando. In maniera ignobile, quando tirano in ballo la sfera privata di un ragazzo di vent’anni e poco più che fa quello che alla sua età è perfettamente normale: vive.Tornando al tennis giocato, Matteo, con ancora diversi anni per migliorarsi e aggiungere ulteriori soddisfazioni alla propria carriera, ha già maturato un merito incontrovertibile, avendo conseguito risultati eccezionali in rapporto alla sua qualità tennistica.
Ciò, grazie alla preziosa capacità di cavare il meglio dal suo tutt’altro che inesausto bagaglio tecnico e di restare aggrappato alla partita con perseveranza certosina e senza mai sottrarsi alla bagarre. Un manuale vivente su come sopperire a lacune tecniche fortemente penalizzanti con solidità mentale e tanta garra. Hai detto niente.
QUESTIONE DI TALENTO
Come in tutte le cose, poi, anche la fortuna gioca un ruolo non trascurabile e la penuria di talento che, per usare un eufemismo, caratterizza il circus dell’era post federeriana gli ha dato una grossa mano ad emergere in maniera così violenta.
Contornato da tennisti più scarsi di lui o comunque incapaci di incanalare superiori doti tecniche sulla via del successo, Matteo, dando di sé con costanza la sua migliore versione possibile, ha potuto tagliare traguardi impensabili in altri momenti storici per uno della sua cifra stilistica.
Matteo, del resto, ha qualche limite irrisolvibile che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto tenerlo decisamente più lontano di quanto non accada dal gotha della disciplina. Almeno una cinquantina di colleghi, ma forse si sbaglia per difetto, giocano di rovescio in maniera più efficace di lui, la risposta al servizio ha poca consistenza e la mobilità, considerata la mole da terza linea rugbistica, è necessariamente quella che è. Segmenti di gioco nei quali i competitor meglio attrezzati sguazzano quando se lo trovano di fronte.
L’accoppiata servizio-dritto da primo della classe, unita all’attitudine gladiatoria già ricordata, fa quel che può. Molto, nei periodi grassi, decisamente meno in quelli di vacche magre come questo.
La sindrome della coperta corta.Nulla di strano, insomma. In altre parole, Berrettini, a cui madre natura non ha conferito la dote di poter primeggiare per manifesta superiorità tecnica, ha la necessità che tutti i tasselli del mosaico si posizionino correttamente per essere competitivo ai massimi livelli e di essere supportato dal cento per cento del suo possente fisico e, a riguardo, non sono certo un caso i frequenti contrattempi muscolari ai quali va incontro e che lo costringono a inseguire perennemente la condizione ottimale.
Un minimo di imperfezione nel complesso equilibrio di una macchina farraginosa e lontana dall’essere una fuoriserie ed ecco che può bastare un buon McDonald per farlo a fette. Ci sta tutta, pensando anche a quanto sia decisiva la fiducia in una disciplina maledetta come la sua, e non è certo inanellando sconfitte che la si riesca ad alimentare.
I momenti difficili sono la normalità nello sport e Matteo, per quanto detto, probabilmente fatica più di altri a nasconderli. Passeranno, ma non è affatto scienza esatta la possibilità che possa tornare, per esempio, a giocarsi l’ultimo atto di un torneo dello Slam perché, appunto, anche il più competitivo dei Berrettini, nella corsa ai tornei di prima fascia, guarda le code a un bel numero di avversari.
Quello che gli si deve, però, è l’obiettività di giudizio. In un paese come il nostro che non vince un Major da quasi mezzo secolo, che da Panatta in qua di fenomeni non è più stato capace di crescerli e che, in un passato nemmeno troppo remoto, faticava financo a piazzare più di un giocatore nella Top 50, uno come Berrettini è comunque una manna dal cielo.
Non è Alcaraz? Pazienza, di mostri come lo spagnolo ne nasce uno a generazione e, prima o poi, una tale fortuna capiterà anche all’Italia. Nell’attesa, impariamo a rispettare ciò che di buono abbiamo per le mani. Ragazzi che, mentre i detrattori perdono tempo dietro inutili commenti, si fanno un mazzo così.Teo Parini