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Lifestyle | 03 luglio 2023, 01:26

"Diafano Opaco", il ventiduesimo capitolo del romanzo online di Maurizio Denti Pompiani

Foto: Denti Pompiani Maurizio©

Foto: Denti Pompiani Maurizio©

La sala d’aspetto della stazione, a parte me, era deserta. Era nuvoloso, pioveva e faceva un freddo cane. I muri erano grigi come nuvole da grandine. Io stavo sfogliando il libro cercando di cogliere inutilmente tra quelle pagine vergini qualcosa che forse mi sfuggiva.

La porta a spinta si spalancò all’improvviso. Entrò un bimbo accompagnato un refolo gelido di tramontana, dimostrava una decina d'anni.

Mi guardò e fissò le panche vuote attorno a me. Poi tornò a sbirciare il mio libro. Sembrava stupito dalla mia presenza, sembrava chiedersi cosa ci facessi io in quel posto, tutto solo. Mi si sedette di fianco, non troppo vicino né troppo lontano, guardò ancora il libro. Mi si rivolse dicendomi:

 

“Ciao!”

“Ciao!” Guardai tra le vetrate della porta d'ingresso per assicurarmi che nessuno stesse cercando il ragazzino. Non vidi nessuno:

“Sei solo?... Non è che i tuoi genitori ti stanno cercando?” “No!... Sono con Ada.”

“Ah! E dov'è Ada?”


“A fare i biglietti, adesso arriva, mi ha detto di aspettarla qui!” “Ada è tua mamma?”

“No, è la mia tata e anche la signora che viene a fare le pulizie a casa mia! È straniera!” Una folata violenta scosse ancora le ante della porta.

“C’è sempre questo vento dalle vostre parti?”, chiesi al ragazzino. “Sì, qui c'è quasi sempre il vento.”

“Allora ci siete abituati!”

“Mia mamma dice che il vento non viene mai per caso.” “Ah sì? E perché lo dice?”

“Perché dice che tutte le volte che si mette a scopare le foglie in giardino si alza il vento e gliele porta in giro tutte. Dice che lo fa apposta. perché è dispettoso.” “Beh!... Non ha tutti i torti.”

“Per me il vento è un giocherellone. Gli piace giocare! La mia maestra Paola dice che il vento serve a spargere il polline, a far cadere le foglie morte, e, a tante altre cose.” “Te l'ha detto la maestra Paola?”

“Sì!... E l'ho anche studiato in scienze!”

“Ah! Beh!... Se l'hai studiato in scienze... Te ne dico un'altra di cosa, che fa il vento, e che in pochi sanno!”

 

Si mise in posa d'ascolto.

 

“Fa suonare gli alberi!”, gli sussurrai confidenzialmente.

 

Fece un movimento per distanziarsi da me, si girò, mi guardò, ritornò nella sua posizione roteando una mano:

 

“Che scoperta! Io lo sapevo già!” “Lo sapevi?”

“Tutti lo sanno che gli alberi, quando c'è il vento fanno rumore!”

“Beh!... Mica tutti lo notano sai? Io, per esempio non l’avevo mica notato.” “Ieri ho battuto il Giovanni! Lo sai come ho fatto a batterlo?”

“No, davvero?... L'hai battuto?... E... A che cosa l'hai battuto Giovanni? “Alle carte di Yu-gi, no? Yu-Gi-Ho!”

“Ah!... Alle carte di Yu-gi!... E come l'hai battuto?” “Allora...”.

 

Tirò fuori dalla tasca, come se non stesse aspettando altro, un mazzo di carte coloratissime giapponesi, o giù di lì, con delle belle illustrazioni di mostri e demoni e un sacco d'altra roba.


“Questa è una carta trappola, questa è una carta magia, questa è una carta effetto... le conosci?”

“Non proprio... comunque sono belle, complimenti... e si gioca con quelle?” “Certo che si gioca... si deve giocare, sono fatte per combattere il tuo avversario!” “Bene!... Proviamo dai!... Come si fa?”

“Devi avere il tuo Deck!” “Becks?”

“Il tuo Deck!”

“Dek? L'avevo scambiato per una birra. E cosa sarebbe il mio Dek?” “Il tuo mazzo no?... E come lo chiami tu?... Il Dek, no?”

“Eh! Certo!... No, non ce l'ho il mio Dek! Mi dispiace, sarà per la prossima volta ok?”

 

Fece un sospiro profondo accompagnato da un’espressione di compatimento, e con grande sacrificio divise il suo mazzo in due:

 

“Vabbè, per questa volta facciamo finta, tieniti queste!

“Ok! Va bene... per questa volta. Tanto è giusto per imparare!” “Sono in prestito, eh?... Mica te le regalo!”

“Eh?... Ah! Sì, sì! Tranquillo, lo sapevo! Dai... spiegami un po' come si gioca!”

“Allora sul terreno devi mettere, in basso a sinistra l'extra Deck, ma noi non ce l'abbiamo!”

“Giusto!... Per cui: niente!”

“In basso a destra il tuo Deck!” “Qui?”

“Sì, lì!... un po' più a destra...”. “Qui!”

“Ok!”

“In alto, a destra c'è il cimitero!” “Come il cimitero?”

“E quando sacrifichi un mostro dove lo metti sennò?” “Al cimitero!”

“Appunto!... Anche quando te lo ammazzano in un attacco finisce al cimitero!” “Eh!”, annuii.

“Qui ci vanno le carte magia!”

“Queste mi piacciono, a cosa servono?” “Aspetta, dopo te lo spiego!”

“Va bene!”

“Qui le carte fusione e qui quell’effetto!” “Però!”

“Qui, mettiamo le carte mostro!”


“Ahi! Qui viene il bello!”

 

Mi guardò con un sorrisetto maligno:

 

“Dipende dalla potenza che ha, in attacco, il tuo mostro!” “E questo mostro che potenza ha?”

“Quello è Chiron il Saggio... 1800 in attacco e mille in difesa, è scarso!” “Cominciamo bene! Fa niente, attacco con questo e tu cosa fai?” “Devi dirmi se hai finito il turno!”

“L'ho finito!... Allora?”

“Io, per non farmi distruggere il mio mostro in battaglia lo equipaggio con Corpo di Nebbia, così non può essere distrutto! Poi evoco Drago Tridente, e, se scarto una carta, guadagno tremila in attacco, se ne scarto due: seimila! Ecco. così! Poi attivo la carta magia equipaggiamento: evoco Yaksa Bestia del Fuoco Fatuo, e non devo neanche avere la carta polimerizzazione perché tanto non mi serve neanche polimerizzare. E con questo ti faccio fuori tutti i tuoi life point! Anche il Giovanni l’ho battuto così!”

 

Mi guardò tronfio in cerca di approvazione e poi aggiunse:

 

“Hai perso!”

“Di già?... Cavoli, ma per giocare a questo gioco bisogna aver fatto l'università! E come fai a sapere tutte queste cose tu?”

“È facile, tutti i miei amici le sanno!” “Ma che classe fai?”

“La quinta B!”

“Complimenti! Se il nostro futuro è in mano a bambini che già a dieci anni manipolano disinvoltamente un gioco con regole di una difficoltà pari alla congettura di Hodge siamo in buone mani!”

 

La porta “va e vieni” si aprì ancora di scatto. Entrò una signora trafelata, in carne, sulla quarantina tendente ai cinquanta:

“Finalmente, ce l'ho fatta, ho i biglietti... Buon giorno!” “Buon giorno!”

“Davide, vieni qui, non disturbare il signore!”

“No, si figuri, nessun disturbo, Davide è bravissimo. Ci siamo fatti una partita, mentre aspettavamo!”

“Grazie per avermelo guardato!”

“Ci mancherebbe, è stato un piacere, cominciavo ad annoiarmi qui, tutto solo! Andate a farvi un viaggetto?”


“No, stiamo andando a casa. Lo accompagno a casa sua, a Genova. Di solito prendiamo il pullman, ma oggi Davide ha voluto prendere il treno, ha fatto un sacco di storie per prendere il treno. Vero Davide?”

 

Lui annuì malvolentieri scuotendo le spalle.

 

“Fa le elementari qui?... Perché, a Genova non c'era più posto?”

“No, è che i suoi genitori si sono dovuti spostare a Genova per lavoro, prima abitavano qui, e siccome lui è già in quinta, hanno pensato di non separarlo dai suoi compagni per l'ultimo anno. Così hanno deciso di fare un sacrificio, per quest'anno. Poi le medie le farà là, a Genova! Vero Davide?”

“Sì!... Vero!”

“Ti dispiace di non vedere più i tuoi amici?”

“Ma sì... Non più di tanto... Però sì!... Un po' mi dispiace!” “E lei di dov'è?”

“Io sono di Kaunas!”

“E dove sarebbe? Scusi l’ignoranza!” “In Lituania!”

“Ah! Conosce mica una ragazza Lituana di nome Medis?” “No! È anche lei di Kaunas?”

“Ah! Questo non lo so, però viveva qui. Magari l'ha conosciuta al parco... non so!” “Medis ha detto? Che nome!... No, non conosco nessuna Medis!”

“Perché che nome è?”

“Medis, nella nostra lingua, vuol dire albero!” “Ah sì?”

“Sì e le foglie, Lapas!”

“Lapas, come il cane di una signora che ho conosciuto sempre al parco, che strano!” “Il cane era strano?”

“Sì... Beh!... Era strano... sì!”

 

Prima di uscire dalla sala d’aspetto, il bimbo trascinato per la mano dalla sua tutrice si girò per l’ultima volta verso di me e mi disse:

 

“Se usavi Ordok il Bioluminescente avresti vinto tu.”

 

Con l’indice puntato verso il cielo, in un gesto che mi parve stranamente famigliare. Meditai molto su quella frase che mi pareva senza senso, quando ebbi una folgorazione.

Fu allora che mi decisi a chiedere a Click: “Che ne sai della bioluminescenza?”


“È quella dei pesci!” “Cioè?”

“Guarda su Google no?” “Non ho voglia!”

“E allora rompi i coglioni a me?” “Certo che sì!”

“È quella che usano anche certe meduse, i pesci che vivono negli abissi, dove c’è buio. Li vedi grazie alla bioluminescenza. È una roba chimica…”

“Quindi si vede al buio esatto?”

“Esatto! Hai presente quelle stelline che si attaccano al soffitto delle camerette dei bambini? Ci sono vernici, inchiostri e tante altre scemenze luminescenti.” “Inchiostro?”

“Certo… anche.”

“La chiave giusta nella porta sbagliata!” “No, chiavi, non mi risulta.”

“Le percezioni sbagliate! È ovvio che se vuoi leggere accendi la luce no?” “Certo che è ovvio. Ma che cazzo c’entra questo adesso? Stai dando i numeri?” “Lascia perdere. Ti chiamo dopo. Ciao!”

 

Corsi a cercare un ambiente completamente buio. Lo trovai in uno sgabuzzino del bagno. Aprii il libro e nella prima pagina comparve in verde una poesia:

Come lhombra di quel ferro fatale maffrancherò silente

ad ogni pianto vitale giacché ogni tempo lì volge al presente.

Al memento di foglie che si lustran la pelle abbassan la voce diventan più belle Seguendo lsentiero Che chiave contorta Sottende donore Ogni glauco cantore Dolente

Scende ancora un gradino Del suo male minore Da cui onde por fine Allinfausta cagione

Che ci colmò di rimpianto e di rabbia

Ti basterà spostare le sbarre Per condivider codesta mia gabbia


Giacché nelloltre armonia ovio sono a languire Qualunque sapienza non sha da scandire Dacché luce et hombra

Con la pioggia si fondono Senza tempo

La vita e la morte Si confondono. (Matilde)

Riconobbi quella poesia: era quella che mi mostrò il mio cliente, solo che quella era incompleta, invece questa era finita. Ma cosa voleva dire?

Decisi di ritelefonare a Click, il quale, dopo aver attentamente ascoltato la mia storia, anche se molto perplesso e scettico, si decise finalmente ad aiutarmi:

 

“Questo è il messaggio che ha ricevuto il vecchio prima di morire. Cioè, questo tizio ha fatto tutto ‘sto casino per ricevere il finale di questo messaggio. Ma perché? E pare che lei abbia voluto che, dopo di lui, lo stesso messaggio passasse a me. Dovrei fare la stessa fine forse?”

“Ma non dire cazzate!” “E allora perché?”

“Non ne ho idea, secondo te quale sarebbe il motivo?”

“Non lo so, l’unica ipotesi che mi viene in mente è che tutto sia contenuto in quella specie di messaggio criptico. Il vecchio sapeva senza dubbio cosa volesse dire.” “Dici?”

“Per me è così!”

“E sei sicuro di volerlo scoprire anche tu? E se ti facesse lo stesso effetto?” “Perché dovrebbe?”

“Non lo so. Quindi vuoi o non vuoi?”

“Non lo so. Certo che, a questo punto, passerei, in ogni caso, il tempo a lambiccarmi su quel testo fino a scoprirne il significato. “Dopo di me Luigi…” Sembra una minaccia più che una dedica. Però è chiaramente rivolto al sottoscritto. Fa venire i brividi!” “Naturalmente ci hai già tentato a decifrarlo. Cosa ne hai arguito?”

“Certo che l’ho fatto. Non ci ho capito nulla. Però qualche elemento ce l’ho. Magari se ci mettiamo insieme…”

“E se poi ti ho sulla coscienza?” “Da quando hai una coscienza?”

“Cosa dice quel messaggio, vediamolo punto per punto, se riusciamo a venire a capo di qualcosa, d’altronde chiunque ti abbia affibbiato questo compito è perché pensa che tu possa avere tutti gli elementi per risolverlo.”

“So che il figlio non mi voleva più in mezzo alle scatole e me l’ha fatto capire chiaramente. Copriva in tutti i modi la lituana e mi ha perfino velatamente minacciato di denunciarmi per furto se non mi fossi fatto da parte. In pratica mi ha detto: Tu hai


il tuo impianto, la lituana gli orecchini e io l’eredità del babbo. Adesso non rompere i coglioni e vattene. E vissero tutti felici e contenti.”

“Certo che è così!”

“Resta da spiegare il perché lei abbia voluto farmi avere questo libro con tanto di messaggio da decifrare.”

“Cosa dice ‘sta roba?”

“Inizia dicendo: come l’hombra di quel ferro fatale m’affrancherò silente.” “Cos’è il ferro fatale?”

“Non lo so. Penso a un coltello, un qualcosa di ferro che può essere fatale. Una lancia, una spada, un pugnale.”

“E cosa c’entra l’ombra?”

“Non ne ho idea, buio completo.” “Cominciamo bene!”

“Ah! Aspetta! Ho letto qualcosa di simile sulla meridiana di quella che lei diceva essere casa sua nel parco. Diceva L’hombra di quel ferro fatale che al sol l’hora adita a me col l’hombra sol toglie la vita. Non ci ho capito un cazzo ma mi piaceva. Me lo ricordo ancora a memoria”

“Quindi il ferro fatale è l’asta di una meridiana ma è anche il riferimento ad un luogo esatto nel parco. Un punto d’incontro… Magari. Continua con tutta la strofa.” “Allora dice: Come l’ombra di quel ferro fatale m’affrancherò silente ad ogni pianto vitale giacché ogni tempo lì si volge al presente.”

“Tu cosa ne pensi?”

“Penso che sia come l’ombra di quella meridiana a cui l’ombra toglie solo la vita e, con quel solo, intende dire solo quel tipo di vita, ma non il tempo in quanto tale.” “Arguto!”

“Grazie.”

“M’affrancherò silente ad ogni pianto vitale. Cos’è il pianto vitale?” “Un pianto che da la vita!”

“Ma dai?... Dici davvero? Adesso sì che tutto si spiega…” “Pirla!”

“Deve avere a che fare con l’ombra. Quand’è che c’è l’ombra di giorno?” “Quando è nuvoloso.”

“Bravo, e quindi il pianto con le nuvole…” “È la pioggia!”

“Esatto!”

“È come se dicesse che, nei giorni di pioggia ogni ombra si affranca, cioè si libera da ogni vincolo di luogo e quindi…”

“Di tempo: Giacché ogni tempo lì volge al presente. Futuro e passato non contano più e convergono al presente.”

“Grande Click! Nei giorni di pioggia lei si libera in quanto ombra tra le ombre… Cazzo, qui sostiene di essere un fantasma che arriva dal passato.”


“Più o meno. Continua, che si fa interessante!” “Al memento di foglie… Cos’è un memento?” “È un momento solenne, un avvenimento.”

“Al memento di foglie che lustran la pelle, abbassan la voce, diventan più belle. Qui sembra parlare sempre della pioggia”

“Lustran la pelle e abbassano la voce. Le descrive come dei timpani. Le foglie diventano tamburi.”

“Può essere. Sì, ma adesso sparati questa: Seguendo il sentiero che chiave contorta sottende d’onore… Arabo!”

“Hai visto un sentiero particolare al parco? Il simbolo di una chiave, per caso?” “No, non ho visto un cavolo, nulla che mi ricordi in modo particolare.”

“Allora da qui non ne usciamo.”

“Aspetta, questa continua con: ogni glauco cantore dolente…” “Parla di musica!”

“La chiave contorta può essere la chiave di Sol. Il sentiero è la seconda linea del pentagramma che è indicata dalla chiave di Sol. Il Sol, appunto. Cosa vuol dire glauco?”

“Glauco significa verde, ceruleo.” “E… Dolente? Che fa male?”

“Certo. Sarebbe qualcosa di verde che fa male… Un veleno?” “E che cazzo c’entra un veleno?”

“Boh!”

“Cantore… Prima parlava di foglie che cambiano la voce. Il glauco cantore è la foglia oppure gli alberi.”

“Dolente è anche chi partecipa ai funerali” “Perché funerale?”

“Vallo a capire… E dopo dice: scende ancora un gradino del suo male minore.” “Buio pesto!”

“Alt! Aspetta, aspetta! Chi stava morendo al parco, secondo quella ragazza?” “La magnolia.”

“Esattamente! Quindi i cantori dolenti potrebbero essere i coristi di funerale cantato. Durante un pianto vitale. Cos’è un funerale cantato?”

“Non lo so… Un requiem?”

“Un requiem! Proprio così! Resta da capire cos’è il gradino del loro male minore” “I gradini appartengono a una scala, solitamente.”

“Grande Click. La scala relativa minore del Sol…” “Mi minore.”

“Un requiem in Mi minore…”

“Ma loro scendono ancora un gradino.”

“Cazzo è vero! Un requiem in Re minore che parla di un pianto o… Di lacrime.”


“Qui mi trovi proprio impreparato, a meno che non l’abbiano scritto i Metallica o i Queen…”

“Aspetta… aspetta. Requiem di lacrime… Ma certo, che scemo ... Mozart: Lacrimosa, requiem in Re minore. Era lo spartito appeso in soggiorno, quello che aveva di fianco quando è deceduto.”

“È lui!”

“È proprio lui cazzo! Ecco perché il vecchio aveva lo spartito di Mozart al suo fianco e l’aveva anche incorniciato…”

“Perché?”

“Non so ancora. La poesia continua con: Da cui, onde por fine all’infausta cagione che ci colmò di rimpianto e di rabbia – e qui mi sembra piuttosto chiaro – ti basterà spostare le sbarre per condivider codesta mia gabbia… Dacché…”

“Ferma, ferma! Un passo alla volta. Ti basterà spostare le sbarre? Quali sbarre ti vengono in mente? C’era una finestra con le sbarre amovibili, forse, e lei gli sta dicendo da dove entrare segretamente a casa sua… la sua gabbia.”

“Uhm! Troppo facile… Ascolta… Giacché nell’oltre armonia ov’io sono a languire qualunque sapienza non s’ha da scandire… Dacché la luce et l’hombra con la pioggia si fondono, la vita e la morte, senza tempo, si confondono. Qui parla di metrica, di tempo…”

“Può essere e, in questo caso le sbarre sarebbero le sbarrette delle misure. La sapienza che non s’ha da scandire: se sposti le barre delle misure, scombini il tempo. Se scombini il tempo, e di conseguenza lo spazio, confondi il limite tra la vita e la morte, cioè lo annulli, praticamente. Canti un’altra armonia. L’armonia dell’oltre ov’io sono a languire.”

“Certo o magari un’enarmonia, che formalmente non esiste ma viene usata a scopo compositivo per moltiplicare le risorse modulatorie. Cazzo qualcosa che formalmente non esiste come un Mi diesis o un Fa bemolle ma che invece viene usato eccome in ambito musicale. Una terra di nessuno… La zona d’ombra dove le ombre si svincolano.”

“Un posto indescrivibile che viene indicato da un libro che non si legge…” “Già! E lei è lì!”

“Basta spostare le sbarre… Ma in che senso? In che modo?” “In quale tempo è composto il Lacrimosa?”

“In dodici ottavi.”

“Dodici, come i mesi, come le ore del mattino e della sera, dodici più dodici… Sposta le sbarre e ti scrivi la data e l’ora esatta della tua morte.”

“E a che scopo?”

“Per condividere finalmente la sua gabbia… Tornare finalmente insieme.” “E funzionerebbe anche con te?”

“Probabilmente… Non so… Io non ho orecchini da consegnare.”

“Beh però sei stato l’intermediario, chissà che non voglia premiare anche te.”

“Ma va a… Fammi toccare!”

(Autore: Denti Pompiani Maurizio, tutti i diritti sono riservati.)

Altre opere: Le favole non sono mica roba da bambini – Episodes – La venditrice d’ali.

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