Al 31 ottobre 2023, i casi di diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito (“revenge porn”) denunciati da donne, sono stati 163. Un andamento in linea con quello registrato nell’analogo periodo del 2022, quando complessivamente le denunce erano state 191. E’ quanto emerge dal dossier sulla violenza di genere online della Polizia Postale e delle Comunicazioni. “Quello che talvolta nasce come un gioco sessuale consensuale tra adulti, può diventare lo strumento di una vendetta subdola e violenta che travolge la vita della vittima, distruggendone l’immagine pubblica, riaffermando con violenza la potenza dell’altro” spiega la Postale, ricordando che il “revenge porn”, è un fenomeno “che aggredisce soprattutto le donne e per il quale risulta sempre complesso chiedere aiuto perché ci si sente responsabili di un errore di valutazione sulle intenzioni dell’altro, sulla genuinità dei suoi sentimenti”.
“Le denunce sporte dalle donne sono spesso difficili da formalizzare perché, secondo un atto di generosità affettiva, molte vittime non vogliono segnare la vita dei loro ex-mariti, ex-compagni, con una denuncia penale, soprattutto quando questi ex sono anche genitori dei loro figli” spiegano gli investigatori, evidenziando che “Le violazioni fatte di post che insultano, di indiscrezioni diffuse sui social, di incursioni nei profili personali, vengono considerate talvolta un male minore, qualcosa di fastidioso ma che non sempre determina un senso di vulnerabilità e di pericolo urgente come quando i pedinamenti e le minacce avvengono sotto casa, sul posto di lavoro, nel bar della colazione tra amiche”. “Eppure oggi i reati online sono così strettamente legati alla violenza concreta – sottolinea la polizia – da dovere essere valutati come un campanello d’allarme che suona, indicando una minaccia concreta alla sicurezza”.
“La denuncia è spesso determinante per i reati procedibili a querela di parte, cioè per quegli atti che rappresentano l’inizio di un’escalation di violenza a cui molte donne sono sottoposte” continua la Polizia Postale, ricordando che “si tratta di un passo non semplice da compiere per la paura delle ritorsioni o per la colpa di formalizzare un atto di accusa verso qualcuno a cui si è stati legati sentimentalmente”.
“La capacità dei social, della messaggistica istantanea di fornire informazioni dettagliate su cosa si fa, su dove si fa, su come si interagisce con gli altri sembrano essere il pretesto per estendere in rete la tendenza violenta al controllo e alla dominanza che è propria delle persone nocive” aggiungono gli investigatori, sottolineando che “diventa sempre più urgente considerare il correlato virtuale della violenza di genere come un’altra modalità con cui si manifesta una dominanza criminale, morbosa, malata che può portare via vite, può vanificare, con l’ennesimo doloroso omicidio, l’impegno degli operatori della sicurezza: le vittime hanno bisogno di accoglienza e ascolto ma hanno anche bisogno di qualcuno che le aiuti e le accompagni verso la rivendicazione legittima e salvifica dei loro diritti, anche quando la minaccia è solo ‘virtuale’ e sembra loro meno pericolosa, un aiuto che può e deve essere dato anche con azioni singole di tutela e coraggio. Chi si trova in pericolo – conclude la Postale – ha bisogno dell’aiuto di chiunque si renda conto della minaccia”.