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Cultura-Eventi | 30 aprile 2020, 12:55

Gambolò, dal Museo le ultime notizie sull'Homo Naledi

Il Museo Archeologico Lomellino ha pubblicato per i suoi soci e followers le ultime novità circa la scoperta dell'Homo Naledi, seguita dall'antropologo Damiano Marchi, che era stato ospite proprio nella cittadina lomellina

Gambolò, dal Museo le ultime notizie sull'Homo Naledi

Una scoperta straordinaria da un punto di vista storico e culturale quella dell'Homo Naledi, avvenuta pochi anni fa in Sudafrica e a cui aveva partecipato e lavorato l'antropologo Damiano Marchi, invitato come ospite nella città lomellina qualche anno fa

Il professor Marchi dal vivo e nel suo saggio preliminare sulla scoperta, aveva raccontato tanti dettagli sul ritrovamento coinvolgendo e appassionando il pubblico anche con il suo grande entusiasmo. Ricordiamo che l'Homo Naledi era stato scoperto nel 2013 in un sistema di caverne in Sudafrica denominato Rising Star. Più di 15000 furono i reperti fossili ritrovati, che ora oggi costituiscono il più ricco sito antropologico Africano. L'enorme importanza della scoperta deriva dal fatto che alcune caratteristiche dell'Homo Naledi lo rendono davvero simile a noi, mentre ovviamente altre ce lo mostrano invece più distante rappresentando un enigma e un mosaico dell'evoluzione dell'uomo.

Uno degli aspetti più controversi circa l'Homo Naledi è in particolare la datazione dei resti, che ancora è contraddittoria. Una serie di indagini eterogenee sembra però aver risolto il mistero e dato una giusta collocazione cronologica a questa notevole scoperta. Numerosi esperti pareri storici e scientifici paiono concordi nell'indicare la datazione probabile intorno a trecentomila anni fa (in un intervallo compreso fra 236 mila e 335 mila anni dal presente).  Anche l'illustre antropologo Giorgio Manzi ordinario di antropologia alla Sapienza di Roma e autore di numerosissimi saggi concorda con questa indicazione cronologica.

In aggiunta a queste scoperte c'è poi lo scavo di altri nuovi scheletri della stessa specie in un’altra cavità dello stesso sistema carsico. Si tratta dei resti di individui sia adulti che immaturi: sembrano almeno tre ma diversi indizi fanno pensare che ce ne siano di più.

Questa novità sulla datazione da poco resa pubblica è sorprendente e farebbe pensare che nella seconda metà del Pleistocene medio, un’epoca in cui eravamo convinti che in Africa ci fossero solo le popolazioni più evolute di Homo Helmei (da cui intorno a 200.000 anni fa sarebbe comparsa la nostra specie Homo Sapiens), ci fosse presenza in Africa meridionale anche di esseri umani di aspetto molto più arcaico e di piccole dimensioni chiamati appunto Homo Naledi.

Appare perciò inutile o addirittura sbagliato cercare di prevedere l’età di un fossile basandosi esclusivamente sul suo aspetto perché una buona datazione è solo quella ottenuta attraverso test indipendenti e quanto più numerosi e affidabili possibili. Questo Homo Naledi rappresenta dunque uno dei tanti cosiddetti misteri dell’evoluzione umana cronologicamente molto più vicino a noi di quanto potesse sembrare per alcuni aspetti.

Andrea Pugno

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