Si facevano chiamare ‘Adam’, ‘Tito’, ‘Lo Zio’, ‘Mimmo’. Sono gli egiziani che ad Abbiategrasso gestivano lo spaccio di stupefacenti e finiti nell’inchiesta che ha portato all’emissione di misure cautelari.
Adam era colui che, tra il mese di giugno e il mese di dicembre del 2001 organizzava lo spaccio di cocaina, marijuana e hashish ad Abbiategrasso e nei paesi vicini insieme al fratello Moustafa.
Entrambi difesi dall’avvocato Roberto Grittini.
Adam, ovvero Mohamed Soliman, secondo l’indagine della Procura di Pavia curava l’approvvigionamento dai fornitori delle sostanze che venivano occultate in parte nell’area dismessa della ex Siltal oppure in appartamenti usati dai correi.
Curava i rapporti con i clienti e i collaboratori ai quali forniva le direttive. Tito eseguiva le consegne e si faceva chiamare anche ‘Ammar’. Mentre lo Zio era considerato dagli inquirenti il collaboratore più fidato di Adam. La cocaina veniva venduta a clienti per l’importo di circa 60 euro al grammo.
L’indagine è partita da un episodio violento accaduto nella notte del 2 agosto 2020 quando quattro uomini di nazionalità egiziana, armati di coltello, aggredirono e ferirono alcuni connazionali. Fu un atto di ritorsione. Da quell’episodio emerse chiaramente l’esistenza di un sodalizio criminoso formato da uomini di origine egiziana che gestivano lo spaccio ad Abbiategrasso e dintorni.
Nelle settimane successive i Carabinieri della Compagnia di Abbiategrasso si imbattono più volte in soggetti che rientravano in quell’organizzazione. Nella notte del 22 ottobre 2020 ne arrestano uno dopo un inseguimento, perché trovato in possesso di droga e strumenti atti ad offendere. Il quadro indiziario è reso ancor più evidente durante le intercettazioni delle utenze telefoniche dei sospettati.
Linguaggio a volte criptico, a volte esplicito. Ma questo non ha impedito agli investigatori di inquadrare il sodalizio e di portarlo alla luce. Un quadro fatto di spaccio, rapine ed estorsioni. Su dieci sottoposti a misura cautelare, sei sono nativi dell’Egitto, due in Italia, uno in Albania e un altro in Marocco.