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Lifestyle | 14 aprile 2023, 09:30

"Diafano Opaco", l'undicesimo capitolo del romanzo online di Maurizio Denti Pompiani

Foto: Maurizio Denti Pompiani©

Foto: Maurizio Denti Pompiani©

Ma dove cavolo è finita ancora? Mi chiesi.

Poteva aver preso qualsiasi direzione seguendo uno qualsiasi della moltitudine di percorsi possibili. Mi sedetti sconsolato: non posso farcela. Ogni goccia che cadeva sulla mia testa - mentre mestamente percorrevo gli ultimi gradini della scala ammazza vecchie tentando una, a caso, tra le mille sue possibili vie di fuga - non poteva neanche più bagnarmi. Guadagnai, non senza fatica, l’hotel. Sotto la doccia, le tendine di nylon mi si appiccicarono addosso tra bollenti nuvole di vapore acqueo e calcare in un fastidioso abbraccio affettuoso che, chissà perché, non mi consolava affatto. Uscii dalla nebbia del bagno. Mi sedetti sul letto, in accappatoio, e pensai a quanto fossi stupido a comportarmi in quel modo e che avrei dovuto concentrarmi sulle cose concrete della vita. Avevo un lavoro da fare e una famiglia da portare avanti. La responsabilità di un padre e la dignità di uomo adulto da difendere. Promisi a me stesso che sarei cambiato da quel momento stesso in poi. Ricevetti un messaggio di Click:

Non so se ti interessa, scusa se non ti telefono ma lo sai che ho sempre da fare. Ho trovato il nome della marchesa Negrotto Cambiaso: Matilde.

Matilde... con la emme. Anche la vecchia col cane aveva detto Matilde, lo sapevo già.

Telefonai immediatamente a Click:

 

“Ciao Click.”

“Bella lì. Allora, come procede? Letto il mess?”

“Sì, ma lo sapevo già. Me l’ha detto una vecchia del posto.”

“Quindi?”

“Quindi, niente. Ho incontrato poco fa la tipa. È una cosplayer del posto, bella figa, svitata. Gioca a fare il fantasma della marchesa della leggenda locale. Si è preparata tutto per bene, si vede che conosce molto bene la storia, ha curato tutto fin nei più piccoli dettagli. Tutto coincide perfettamente: segnalibro, iniziali, orecchino… tutto. Recita anche la parte, con lacrime vere, piange per le sue piante… Un’attrice vera e propria. Molto brava, anche. Strafiga, quello sì. Una bellezza impressionante e quello ha il suo peso nella suggestione del tutto.  Ho anche pensato che potesse essere un’attrice professionista, magari qui, di Genova, che si sta esercitando con una parte, magari proprio su quella marchesa. Hai presente il metodo Stanislavskij? Una cosa del genere, adesso non me ne intendo.”

“Può essere! O, magari, la conduttrice di qualche network locale che sta conducendo qualche indagine sociologica sulla fragilità sentimentale degli uomini sposati” Rise.

“Anche. O una blogger piena di follower che filma di nascosto una specie di reality in tempo reale, nello sfondo di quella leggenda locale.”

“Certo. Può essere anche quello!”

“Il problema è che mi ha coinvolto nel gioco, nel senso che, ha fatto in modo che io trovassi il suo orecchino e, adesso che volevo restituirglielo, me l’ha lasciato ed è scomparsa. Questo, a meno che non sia una pazza scatenata, lascia ad intendere che abbia intenzione di rivedermi e giocarsi altre carte.  Ma, quello che mi impressiona, è la sicurezza con la quale, questa pensa che io ci faccia ritorno veramente, in questo posto. Nel senso: come fa a credere che io non me la squagli con questo oggetto e me ne troni nel nulla da dove sono arrivato?”

“Certo che ci vuole una certa sicurezza in sé, nel proprio sex appeal, e della tua dabbenaggine, anche Oppure grande incoscienza.”

“Ma non penso che persone così incoscienti possano maneggiare oggetti di questo valore. Non riesco a credere, infatti, che abbia deciso di lasciarmi in mano un oggetto di questo valore senza aver pensato di ottenere qualcosa in cambio. Anzi, senza guadagnarci qualcosa. Ho capito che è un gioco, questo sì, è inopinabile, ma non ho capito ancora quale sia il gioco.”

“Perché a te?”

“E chi lo sa? Forse solo per il motivo di essere stato il primo che le è capitato quel giorno.”

“Ci sta! Può essere. Strano però.”

“Strano, ma plausibile. Che altra attrattività potrebbe avere, un uomo della mia età, per una ragazza giovane così? Se ci pensi…”

“Beh… certo che… ma, magari, è proprio per quello… nel senso che era proprio quello che cercava: l’uomo maturo con le proprie sicurezze e, soprattutto, le proprie fragilità psicologiche.”

“Al fine di che?”

“Non saprei. Bella domanda. Sei tu che sei lì. Secondo te perché?”

“Giuro che non ne ho la più pallida idea! Ripeto: se questo fosse un pezzo di bigiotteria da quattro soldi, penserei che si tratti di un cavolo di carnevalata, un gioco da stupidi ragazzini annoiati. Ma questo è un cazzo di gioiello dal valore… addirittura inestimabile, adesso non so se è proprio così, comunque di un certo valore e questa non è che può dirmi: tienitelo pure e fanne quello che vuoi. Così, a uno sconosciuto gli dai in mano un pacco di soldi e gli dici: ciao io non li voglio, spendili tu. Cioè, io non ci credo mica a Babbo Natale. Ho smesso di crederci a sei anni, capisci? Non so se mi sono spiegato: questo mi fa credere che non sia solo un gioco. Comunque non un semplice gioco, ma qualcosa di più… non mi viene la parola…”

“Impegnativo”

“Anche, sì, ma…”

“Serio!”

“Ecco, sì! Serio! È il termine giusto.”

“Che implica altre locuzioni, come: pericoloso, per esempio?”

“Già… per esempio.”

“Se quell’orecchino fosse bigiotteria, l’orefice sarebbe complice, d’accordo. Ci hai pensato?”

“Lo escluderei, dal momento che, la scelta di rivolgermi ad un orefice è stata presa arbitrariamente dal sottoscritto, e, a parte uno che ha avuto un ictus di recente, ce ne sarebbe stato un altro a cui avrei potuto rivolgermi, quindi… no, lo escluderei. E poi, ti assicuro che questa pietra cambia di colore veramente… si capisce subito che si tratta di qualcosa al di fuori del comune.”

“Non saprei cosa dirti. Veramente! Quasi, quasi, ti consiglierei di andare veramente alla polizia, di consegnarlo a loro e smetterla di frequentare quel cazzo di parco e i suoi strani frequentatori. Occhio che è un attimo trovarsi in una situa di merda.”

“Il buon senso mi dice questo”

“Il buon senso ti dice giusto. Quindi usalo!”

“Lo farò. Grazie click.”

“Figurati. Vai a dormire adesso.”

“Certo. Buonanotte fra.”

“Notte. A domani.”

 

Tirai la coperta pidocchiosa sopra le orecchie. Il vento, quel maledetto vento che anima le cose. Tutto faceva rumore, tutto era un tremolio, un cigolio, uno stridio, uno sbattere di ante.

Non ho paura. Ma se veramente non ne avessi, non mi starei seppellendo sotto queste puzzolenti coltri grigiastre. E soprattutto avrei spento la luce. Non riesco a dormire con la luce accesa e allora perché non la spengo? Ho i brividi, mi sto spaventando da solo. Ma di cosa ho esattamente paura? Di un bellissimo pseudo fantasma che m’è apparso davanti e mi sta blandendo per chissà quale misteriosa ragione?

Non sarà, piuttosto, che ho paura del fatto di non sapere bene di che cosa avere paura?

Autore: Maurizio Denti Pompiani©

maudenpo@gmail.com

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