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Lifestyle | 25 aprile 2023, 21:22

I consigli della dietista Manuela Cimorelli: l’importanza di chiamarsi bioplastica

Bioplastica o, per esteso, plastica biodegradabile e compostabile. Il nome, decisamente intuitivo, potrebbe farci credere che non ci sia molto da approfondire. Non è così: dalla scelta fra gli scaffali del supermercato alla raccolta e, infine, al riciclo, c’è ancora molto da apprendere

foto tratta da Pixabay.com

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Lo scorso 22 aprile si è celebrata la Giornata della Terra; la data non è casuale: il 22 aprile del 1970 20 milioni di cittadini americani, rispondendo ad un appello del senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono in una storica manifestazione in difesa del nostro Pianeta.

Dagli anni ’70 ad oggi molto è cambiato: l’ambiente, la sensibilità, il clima. E soprattutto hanno fatto il loro ingresso – nelle industrie, nei supermercati e nelle nostre case – i materiali biodegradabili. E fra questi, la bioplastica.

Di questo materiale, così utile alla vita quotidiana, noi cittadini non abbiamo ancora una vera e completa consapevolezza. Appare evidente che sia un’alternativa decisamente più sostenibile alla plastica tradizionale, a basso impatto e con alte performance d’utilizzo; abbiamo iniziato ad individuarla ed utilizzarla in molti oggetti di uso comune: shopper, sacchetti per frutta e verdura, vaschette per gelati, piatti, bicchieri, vassoi, capsule per caffè e molto altro.

La verità, però, è che c’è ancora molto da apprendere per imparare ad usarla, raccoglierla e riciclarla correttamente per portare a compimento il ciclo di economia circolare che rappresenta il suo reale valore aggiunto. Bisogna infatti comprendere fino in fondo le caratteristiche tipiche di questo materiale, frutto di ricerca ed innovazione, che sono l’essere biodegradabile e compostabile.

I materiali biodegradabili sono tutti quelli che finiscono con il decomporsi negli elementi chimici che li compongono per l’azione di agenti biologici – quali batteri, piante, animali – e di agenti atmosferici fra cui il sole e l’acqua, in condizioni ambientali naturali. La compostabilità, invece, è la capacità di un prodotto o un imballaggio biodegradabile di trasformarsi in compost mediante il processo di compostaggio.

Il processo di compostaggio sfrutta naturalmente la biodegradabilità dei materiali organici di partenza per creare un terriccio fertile e morbido che è un ottimo fertilizzante. In ultima analisi, a fine vita, da sacchetti, shopper e capsule raccolti con i rifiuti organici umidi, e quindi trattati per il loro riciclo organico, viene creato un materiale importante e utile in agricoltura.

Ma come è fatta la bioplastica? O meglio, le bioplastiche? Sì, perché si tratta di una famiglia di materiali plastici i cui membri si assomigliano notevolmente: alcune sono a base biologica o biobased – ossia derivano da mais, grano, tapioca, patate, alghe, cellulosa – mentre altre sono biodegradabili pur essendo ottenute da fonti fossili (petrolio). Le più virtuose sono biodegradabili e biobased, come ad esempio il MATER-BI.

Bada bene: biodegradabile e compostabile non sono sinonimi! Infatti, se un materiale è compostabile, esso è senz’altro anche biodegradabile. Ma non è per forza vero il contrario. Perché sia ritenuto compostabile a livello industriale – ma bisogna ricordare che esistono anche il compostaggio domestico e urbano o di prossimità – il materiale, come prescritto dagli standard, deve degradarsi del 90% entro sei mesi, disintegrarsi in frammenti inferiori a 2 mm per il 90% della massa in tre mesi, non devono verificarsi effetti negativi come la esotossicità sulle piante e deve presentare numerose altre caratteristiche.

All’interno di un quadro di regole così dettagliato, a finire in secondo piano è spesso l’attenzione al consumatore. Incapace molto spesso di decifrare i simboli presenti sulle etichette, ignaro di eccezioni e accezioni, disorientato dall’eterogeneità delle bioplastiche, spesso finisce per ridurre bioplastica e plastica a comun denominatore e a non differenziarle nella fase di raccolta.

Come destreggiarsi, allora? Come essere sicuri che l’imballaggio del prodotto scelto fra le corsie del supermercato sia davvero in bioplastica? Quelli di competenza del consorzio di filiera italiano nato nel 2020 proprio per gestire correttamente il fine vita degli imballaggi in bioplastica, devono essere realizzati in plastica biodegradabile e compostabile, con certificazione UNI EN ISO 13432 e devono presentare in etichetta uno dei marchi di compostabilità previsti: “OK Compost”, “Compostabile CIC” o “Compostabile”.

Come si fa la raccolta differenziata delle bioplastiche? L’Italia è complessivamente un Paese virtuoso: l’organico è la frazione più importante nella raccolta domestica, almeno secondo i dati riferiti al 2019. In merito alla raccolta, il Consorzio Italiano Compostatori (CIC) ha reso noto che l’impiantistica dedicata al riciclaggio dei rifiuti organici è una “filiera qualificata ed efficiente nella gestione di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile”, ma uno dei problemi che il CIC ha sollevato è legato alla presenza di plastica tradizionale all’interno dei rifiuti organici, che non garantisce un compost di qualità. Occorre, quindi, prestare sempre più attenzione alla corretta differenziazione dei rifiuti domestici e diventare, così, sempre più virtuosi.

Ma se il ruolo dei cittadini riguarda il perimetro delle mura domestiche e l’acquisto consapevole, scegliendo manufatti e imballaggi compostabili, il ruolo dei Comuni è legato non solo alla gestione del servizio di raccolta dei rifiuti, ma anche alla necessità di comunicare nel modo migliore con il cittadino, informando sui metodi e sui punti di raccolta. Ad esempio, quando si parla di sacchetti compostabili, è importante non equivocare: il loro essere degradabili non significa che sia consentito disperderli nell’ambiente e non conferirli nell’umido!

Ma allora, in pratica, come ricicliamo gli imballaggi in bioplastica compostabile? Una volta a casa, utilizziamo la shopper della spesa o il sacchettino frutta/verdura per raccogliere gli scarti di cucina; nello stesso sacchetto possiamo conferire anche altri imballaggi in bioplastica compostabile (stoviglie, vaschette, pellicole) purché conformi allo standard EN 13432.

Infine, ricordiamoci che non bisogna mai usare gli shopper in bioplastica compostabile per la raccolta di bottiglie, flaconi e altri imballaggi in plastica tradizionale!

Dott.ssa Manuela Cimorelli, Dietista

manuelacimorelli@gmail.com

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