Umile, pacato, silenzioso, generoso e stakanovista fino alla fine, i suoi colleghi lo conoscevano tutti come “il Cavaliere”, un titolo conquistato sul campo per la sua dedizione al lavoro.
“Durante il primo incontro il generale Dalla Chiesa mi diede tre regole: rispettare le Istituzioni, assumersi le responsabilità e massima discrezione. Per questo motivo non ho mai parlato con un giornalista durante la mia carriera.
Neppure una volta prima del congedo nel 1997. L’ho fatto per tenere fede alla mia promessa al generale”, ha raccontato nella sua prima intervista rilasciata nel 2019 in occasione del volume “Ultima edizione – Storie nere dagli archivi de La Notte”, in cui ripercorre la sua carriera scandita dall’impegno contro il fenomeno dei sequestri di persona, contro il terrorismo, il banditismo locale di Vallanzasca e Turatello, e poi la criminalità organizzata e la ‘ndrangheta. “Ho trent’anni di sonno arretrato – dichiarò Nicastro nella conversazione – Per decenni le mie giornate sono durate 24 ore ininterrotte. Per combattere i banditi devi vivere con i loro orari.
Quando cercavo Vallanzasca dovevo andare nei night club. Lui entrava alle 4 del mattino? E anche io ero lì alle 4. Solo che poi lui dormiva fino al pomeriggio e io alle 8 ero in ufficio a fare rapporto”.
Con Nicastro va via un pezzo di storia dell’Arma e della lotta contro la criminalità, ma anche un testimone diretto dell’evoluzione di Milano e del comparto sicurezza. L’Arma oggi gli ha portato l’ultimo saluto attraverso l’abbraccio di tanti amici e colleghi, oltre a una rappresentanza del comando Interregionale e alla presenza del comandante provinciale di Milano, Iacopo Mannucci Benincasa.