Alle undici la luna era appena velata da una provvisoria coltre trasparente come una danzatrice del ventre.
Io al telefono:
“…Comunque è quel libro la cosa a cui tiene di più in assoluto.”
“Il libro? Cosa ha di così speciale quel libro? Te l’ha detto poi?”
“Macché, si è sempre tenuto sul vago, sul sentito dire, sulla superstizione. Mi ha detto quello che poi mi aveva già detto quella tipa del parco e cioè che è un libro che non si legge. Secondo te cosa ci si fa con un libro che non si legge?”
“S’immagina?”
“Eh!... Probabilmente... Sì, anche.”
“Fatto sta che quell’uomo lo ritiene particolarmente importante se è disposto a scambiare orecchini di quel valore per quel libro. Sarebbe importante tu ne scoprissi il motivo.”
“Certo, questo è sicuro. Ma come faccio a saperne il motivo? “
“Dovresti entrarne in possesso magari.”
“Quello è il minimo. Mi ha detto che, nel caso quella ragazza me lo consegni, di non perdere tempo cercando di decifrarlo. A volte ho come l’impressione che lui auspichi di avere a che fare con il fantasma. Sarebbe la storia di un amore immenso, senza tempo. Secondo me, quei due, si sono resi conto di essere l’uno la persona ideale dell’altro ma sfalsati temporalmente. A volte immagino quanto possa essere stato frustrante amare una persona troppo vecchia o troppo giovane per te. Anche il solo concepirlo presuppone una sensibilità particolare che va oltre la fisicità di un rapporto per spingersi in un campo di armonia pura, di vibrazione. Ci vuole una sensibilità particolare per questo.”
“Patacche! Io penserei, in maniera molto più prosaica, che questo tizio sia assicurato sul furto di quei preziosi e ti mandi in pasto a qualcuno d’accordo con lui, suo figlio e la sua badante per farti la festa, incassarsi il premio assicurativo e magari rivendersi, o tenersi, gli orecchini.”
“Eh? … Addirittura? No, guarda, non mi sembra proprio il tipo…”
“Perché? Non regge secondo te?”
“Mah… No… Non so…”
“E se l’avesse trovato lui quell’orecchino? Da anni, e non l’avesse mai restituito alla Marchesa? Quello lì, secondo me, ti sta usando per qualcosa di strano, occhio che ti fa beccare dalla polizia o qualcosa. Magari, te l’ho detto, ci sono in ballo risarcimenti assicurativi... Va a sapere, con certa gente tutto è possibile.”
“Sei stato sempre un fottuto dietrologo. Confessalo: a te queste cose fanno impazzire. Dillo che ti fanno impazzire.”
“Io non mi fermo alle apparenze, diciamo che mi piace vagliare tutti i risvolti possibili delle cose.”
“E le Twin Towers?”
“Le hanno abbattute gli Americani!”
“Eccolo là! lo sapevo…”
“Allora ci vai in quel parco stanotte o no? Cos’hai deciso?”
“Quando ha visto quell’orecchino, che pensava fosse stato trafugato e invece era lì, dentro la sua scatola, avresti dovuto vedere la sua faccia. Sembrava uno appena scampato ad un incidente: agitato e confuso al tempo stesso. Credimi ti sarebbe bastato vederlo per convincerti, come ha convinto me, che non stava recitando.”
“Tu sei fuori di melone! Lasciatelo dire…”
“Eh sì!... E tu lo sai vero? Click, il problema è che... Sessantamila Euro della mia provvigione. Ecco qual è il problema che mi risolverebbe molti problemi. È un rischio che devo prendere. In questo ha ragione il vecchio: c’è gente che rischierebbe molto di più per molto, ma molto meno.”
“Vabbè, però occhio stasera al parco, sta in campana, e, se vedi che gira male, tela! A me quella storia non mi convince un cazzo sai? Te lo ripeto: c’è qualcosa che non mi torna... Stai attento, che tu sei un esperto a infilarti in situazioni di merda!”
“Già, qualcosa non torna neanche a me... e poi c’è questo alone di esoterico e misterioso che avvolge il tutto che mi inquietata ma allo stesso tempo m’attira, mi incuriosisce. Diciamo che, se l’hanno studiata, l’hanno studiata molto bene”.
“Te lo ripeto: stai all’occhio mi raccomando!”
“Ok! Adesso vado, ci sentiamo domani che ti dico com’è andata, ok?”
“Ok! A domani ciao Lu!”
“Ciao Click! Buonanotte!”
Percorsi una via interna che lambisce la vecchia stazione adibita a pronto soccorso, passai davanti alle ambulanze parcheggiate sotto un portico. All'interno dello stabile di fronte, i volontari della Croce Rossa nella loro vistosa divisa arancione fluorescente con bande rifrangenti ad alta visibilità, chiacchieravano e scherzavano davanti a un piccolo televisore di plastica arancione a tubo catodico con le antenne a baffi.
Non mi notarono passare.
Una cinquantina di metri più avanti, l’ingresso principale del parco era
chiuso. Naturalmente.
Verificai che il punto che mi aveva suggerito il cliente fosse facilmente scavalcabile, lo dedussi dai vecchi segni nerastri lasciati dalle suole di qualcun altro che mi aveva preceduto.
Mi guardai attorno per assicurarmi che nessuno mi vedesse, quindi deviai repentinamente il mio percorso e mi arrampicai goffamente aggrappandomi dove capitava, cercando di fare forza coi piedi su eventuali imperfezioni dell’intonaco.
Finalmente, con grande fatica, una gamba raggiunse il culmine del muro, feci leva sui gomiti, mi alzai, mi calai dall'altra parte. Ero al di là dell'ostacolo, dentro il parco.
A caccia di fantasmi!
Era buio pesto, almeno così mi sembrava prima che gli occhi, adattandosi alla scarsità di luce, cominciarono a distinguere qualche particolare finché tutto si stagliò chiaramente davanti a me. Sperai che non mi scoprissero i guardiani. Sperai che non ci fossero cani da guardia. Le foglie dei cespugli, illuminate dalla luce lunare, restituivano riflessi argentei, così come le foglie delle palme e degli alberi giganteschi, che contrastavano con il buio nero e impenetrabile delle zone in ombra, come in una fotografia in scala di grigi.
La panchina che dovevo raggiungere si trovava dalla parte opposta del parco. Studiai mentalmente il percorso più protetto dalla vegetazione, per raggiungerla. Esclusi subito l’ipotesi di attraversare l'area giochi essendo zona scoperta. Scelsi di seguire un percorso perimetrale, più riparato dai Platani giganteschi e quindi buio.
Controllai gli orecchini, erano di un verde chiarissimo ma non ancora del verde giusto. Decisi, in fine, di abbandonare la siepe in fretta.
Sospirai profondamente prima di partire.
Sapevo che avrei dovuto evitare il rumore dei miei passi sulle foglie morte, ma era più facile a dirsi che a farsi, quando il silenzio è silenzio e anche il tuo respiro fa rumore.
Un passo e una sosta... Un passo e una sosta.
Nessuno in giro.
Cominciai a sentire il rumore della fontana dell’angelo, i cigni dormivano all'asciutto fuori dalla fontana con la testa nascosta sotto un'ala. Feci attenzione a non spaventarli. Finalmente mi trovai nei pressi della panchina. Mi ci sedetti. Controllai ancora gli orecchini!
Ancora troppo chiari.
Il tempo passò e non successe niente. Ogni scricchiolio, ogni verso di qualche animale notturno mi metteva in agitazione.
Gli dico al vecchio che sono stato qui tutta notte, tanto lui che ne sa. Così è contento, si fa il contratto e via. ‘Fanculo i suoi fantasmi, io comincio anche ad avere freddo in questo posto di merda, pensai in preda a una certa inquietudine. Improvvisamente due fasci di luce tagliarono il buio come spade al laser, provenendo dalla zona sovrastante quella dove mi trovavo. Sentii un rumore di passi sulla ghiaia, e voci che si avvicinavano. Stavano arrivando dall'unica direzione in cui avrei potuto scappare.
Mi accorsi di essere in trappola. Non avendo alternativa mi nascosi dietro le canne accovacciandomi vicino al muro.
Erano due guardie notturne, pistola nella fondina, cappello di ordinanza, distintivi vari e torcia potentissima. Perlustravano in giro, un po’ ovunque, a vanvera, sembrano distratti dai loro discorsi ad alta voce, come se dessero per scontato l'inutilità di ciò che stanno facendo.
Si fermarono all'altezza del gigantesco Cedro del Libano e puntarono le torce verso di me. D’istinto chiusi gli occhi come facevo da bambino con la stupida illusione che ciò che non vedevo non mi potesse vedere. Probabilmente le canne di bambù fecero bene il loro lavoro, e, i due non mi videro. Meno male che non avevano i cani. Aspettai precauzionalmente alcuni minuti prima di uscire dal mio nascondiglio. Quando mi accertai che se ne fossero proprio andati. Tornai alla panchina.
Gli orecchini erano verdi del verde giusto e lei non c’era. Potevo tranquillizzare il mio cliente. Ciò dimostrava che non avessimo a che fare con un fantasma ma con una semplicissima badante.
La luna col paraselenio sembrava disegnata col compasso. La tramontana mi tagliava le guance. Finalmente tremavo di freddo e non di paura.
“Sono bellissimi, non trovi?”
Una voce femminile mi sorprese da dietro.
Dallo spavento feci un salto che mi catapultò dalla panchina. Caddi in avanti.
“Ma che… Che cazzo?”
Il cuore impazzito dallo spavento mi privò perfino della voce per urlare. Mi girai e vidi lei che guardava impassibile, immobile, bellissima, i miei orecchini che aveva raccolto accanto a me:
“Scusa se ti ho spaventato… Sono bellissimi non trovi?”
D’istinto cercai il cellulare.
“Qui non prende!”, Mi disse soavemente.
“Come non prende... Ma se ieri ho...”.
“A volte prende a volte, no!”
“È strano!”
“Chi stavi chiamando? La polizia? ... Scusa se t'ho spaventato... Hai paura di me?”
“Sei qui da sola?”
“E con chi dovrei essere?”
“No che non ho paura di te… Cavoli! … Momenti mi fai crepare dallo spavento!”
“Scusami, pensavo mi avessi sentito arrivare!”
“Cosa ci fai qui a quest’ora?”
Controllai gli orecchini nelle sue mani, erano ancora del verde giusto.
“Potrei chiederti la stessa cosa!”
“Forse... Ma te l'ho chiesto prima io. Cosa ci fa una ragazza come te qui da sola?”
Fece cenno a una piccola casa diroccata, semicoperta dalla vegetazione rampicante, ricavata nell'angolo del parco tra il muro del finto borgo medievale e il terrapieno in pietra naturale sottostante il castello.
“Io ci abito qui. E tu? ... Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?”
“Dovresti saperlo, no?”
“Può darsi. Sei venuto a portarmi i miei orecchini, vedo.”
“Non sono tuoi, tu non sei Matilde, sei Medis, la badante del signor Fausto Calcagno!”
“Medis? … Chi è Medis?”
“Dai Medis smettila con questo giochetto, lo so benissimo chi sei. Lo so io e lo sa il tuo datore di lavoro.”
“Se vuoi… senti, non ho tempo di spiegarti, devo guarire la mia Magnolia!”
“Guarire la Magnolia? Ma dai! Pensavo curassi Franco. Oppure Magnolia è il vero nome di Franco Calcagno? Lascia perdere queste stronzate, mi credi così scemo? Il gioco è finito, non l’hai ancora capito? Che intenzioni hai? Di giocare ancora ai fantasmi? Non ce n’è più bisogno. Volete gli orecchini? Li hai, sono pure verdi, complimenti per il tempismo... per cui questi sono i patti: il vecchio vuole che te li dia in cambio del suo libro. Il libro nero che ti porti sempre appresso.”
“Lo conosco bene quel patto!”
“Quindi? Tu ti tieni questi orecchini e mi dai il libro. È contento lui, sei contenta tu, io mi becco l’appalto e sono contento anch’io. Siamo tutti felici e contenti! Dov'è 'sto benedetto libro?”
“Gliel'ho già dato!”
“A chi?”
“A Fausto, di persona.”
“Eh no cara! Non se ne parla! Ma ti pareva fosse così facile? È per questo che non ce l'hai con te eh? Che stupido... gliel'hai già dato... e quando gliel’avresti dato?”
“Prima di arrivare qui!”
“Senti splendore! A chi vuoi prendere in giro? Niente, non se ne fa niente! Senza quel libro... ho delle consegne ben precise. Mi dispiace.”
“Capisco, ma... credimi, ti prego. Io non avrei potuto consegnarlo a te né a nessun altro. Dovevo consegnarlo a lui personalmente Questo era il patto.”
“E chi mi dice che gliel’hai consegnato?”
“Mi ha dato questa da consegnarti come prova.”
“È tutto a posto, consegna effettuata, firmato: Franco Calcagno.”
Aprii la busta e c’era la poesia autografata dalla Marchesa e la brochure della mia ditta.
“Quindi non mi resta che consegnarti gli orecchini. Ma chi mi dice che tutto questo non sia un falso? Avete falsificato la firma della Marchesa, potreste benissimo avere falsificato anche quella del signor Calcagno.”
“Hai la mia parola!”
“La parola di una truffatrice!”
Lei si girò di colpo dandomi le spalle in segno di offesa, poi si rigirò di scatto verso di me:
“Truffatrice? E perché? Solo perché voglio avere il mio tornaconto? E tu allora? Mi sembra che anche tu abbia il tuo bel tornaconto in tutto ciò. Tutti qui ce l’abbiamo. Il tuo non ti basta forse? Sarò pure una truffatrice, come dici tu, ma io mantengo sempre la mia parola! E questi sono i patti: quegli orecchini in cambio del mio libro!”
“Appunto, dammi quel libro allora!”
“Non posso. Te l’ho detto, l’ho già consegnato!”
“Allora neanch'io posso darti questi orecchini, mi dispiace. Ridammeli!”
“E va bene, va bene... Avrai quel libro, ma prima fammi verificare che siano quelli originali e non un falso!”
“Guarda che sei tu la truffatrice. E comunque non mi freghi!”
“Non ci metterò molto, vieni con me, così potrai tenermi d'occhio, mi osserverai mentre guarisco la mia magnolia!... Poi te li ridarò. Ti supplico: è urgente. Non avrai mica paura che scappo. Come potrei sfuggirti?”
Il suo viso, nella penombra, aveva la luce di un quadro del Caravaggio. Sulle sue guance, nel chiaroscuro, scorsi due lacrime che brillavano alla luce della luna. Provai pena. L’attrazione per quella sua bellezza era tale da trasformare ogni empirico desiderio carnale in un catartico desiderio di pura ammirazione. Tenendo conto che sapevo benissimo che mi voleva fregare ebbi una ragione in più per darmi del coglione, quando le chiesi:
“Ci tieni proprio tanto a questi orecchini eh?”
“Non preoccuparti... Non scappo, promesso!”
Mi sembrava evidente che non potesse farlo. Ed ero curioso di vedere che cosa ci volesse fare quella svalvolata, con quegli orecchini, a quella Magnolia. Lei pose con dolcezza gli orecchini sul palmo aperto della mia mano destra. Io glieli restituì in segno di una fiducia che non avevo. Lei li indossò, socchiuse lentamente gli occhi per un istante, e, quando li riaprì notai che il colore delle sue iridi erano diventate dello stesso colore di quelle meravigliose pietre. Mi venne la pelle d’oca, e mi viene tutt’ora solo a raccontarvelo. Il suo sguardo si fece talmente intenso e profondo da essere intimidatorio.
“Come mi stanno?”
“Oh… da dio! Cioè bene... ti stanno veramente bene!”, balbettai, completamente inebetito dal suo splendore. Lei si chinò lentamente verso di me, seria, e lasciò che le sue labbra, leggere come ali di farfalla, sfiorassero le mie firmando indelebilmente, col suo profumo di glicine, un istante che mi sarebbe durato in eterno.
“Grazie!... Andiamo?”
“Sì... andiamo!”
(Autore: Denti Pompiani Maurizio, tutti i diritti sono riservati.)
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