Lo spirito è sempre quello degli inizi. Del giovane artista che ha «davanti un altro viaggio e una città per cantare». Alle spalle, però, ci sono 50 anni di carriera, migliaia di incontri, concerti, brani di successo, il recente Premio Tenco alla carriera. Debutta a Vercelli, il 27 febbraio, il tour teatrale di Ron.
«Al centro esatto della musica» è un viaggio nella sua storia?
E' un viaggio nel mio modo di fare musica. Io ho sempre fatto tanti concerti perché amo il contatto con il pubblico. Per questo tour mi piaceva l'idea di far entrare il pubblico non solo in teatro ma quasi dietro le quinte: la scenografica è quella di una sala prove, anzi riproduce la mia sala prove, qui a Garlasco. Io ci metto parecchio tempo a scrivere un disco o preparare un concerto, perché il mio obiettivo è di arrivare all'anima dell'ascoltatore e per riuscirci il lavoro in sala prove è molto importante.
La scelta di partire da Vercelli è casuale?
No, mi fa piacere perché è una città vicina a quello che è il mio mondo. Vercelli dista pochi chilometri da Garlasco, dove vivo e dai territori in cui sono cresciuto, e spero di sfruttare quest'occasione per conoscerla meglio.
Nel 1998 in occasione della visita di Giovanni Paolo II aveva fatto un bellissimo concerto sulla piazza del Duomo: ha qualche ricordo di quella serata?
Ricordo che per me fu emozionante sapere che il Papa era a poche centinaia di metri dal luogo in cui stavo cantando. E' stata una bella serata in una piazza suggestiva.
La fede ha rappresentato una parte importante della sua vita e della sua arte?
Sì, io sono cresciuto in una famiglia credente e la fede ha sempre fatto parte della mia vita. Per me è una grande certezza, un punto fermo. E credo che, di fronte ai momenti di crisi che arrivano per tutti, ci si debba impegnare nella ricerca, non lasciarsela scappare via.
Lei nasce in provincia e la sua carriera inizia fin da giovanissimo: quanta voglia c'era in quegli anni di misurarsi con il mondo e quante difficoltà si incontravano? Era più semplice o più difficile rispetto a oggi?
Negli anni '70 un giovane che amava la musica e aveva ambizioni serie si misurava con i concorsi; ce n'erano tanti, anche sul territorio. Io ho iniziato quando portavo i pantaloni corti, ma avevo una determinazione fortissima, volevo cantare a tutti i costi. I miei genitori, all'inizio, erano molto dubbiosi. Quando hanno capito che facevo sul serio, mia madre mi disse: Se vuoi cantare, fallo con il cuore, canta per dare qualcosa alle persone. Quella determinazione che avevo fin da ragazzo venne notata anche quando andai al mio primo Sanremo. E fu importante. Oggi si guarda a tante altre cose: un giovane talento viene subito indirizzato verso un modo di far musica che dia risultati nell'immediato. Allora c'era molta più libertà di essere veramente se stessi.
In carriera ha fatto tanti tour: ce n'è uno che per lei resta indimenticabile?
Quello del 1982 con gli Stadio, il gruppo di Lucio Dalla. Li apprezzavo allora e anche oggi. Abbiamo fatto un tour lungo tutta l'estate, con una marea di date. E siccome sono uno che ama andare in giro e suonare, ho vissuto quella stagione con una forza e un entusiasmo incredibili. E il fatto di trovarmi sul palco insieme a un gruppo di amici ha avuto un effetto moltiplicatore.
La sua canzone alla quale è maggiormente legato?
«Una città per cantare», che, per la verità non è neanche mia. La cantava Jackson Brown ma l'autore era Danny O' Keefe, un musicista che stentava a vivere con la sua arte. Quando l'ho sentita, mi ci sono riconosciuto subito: era la mia storia, raccontava la magia che si crea nel fare musica dal vivo, i sogni e le incertezze che accompagnano ogni concerto.
E quella che apprezza di un suo collega e che magari avrebbe voluto scrivere lei?
«Giudizi Universali» di Samuele Bersani, canzone bellissima.
Sui giornali ci sono gli echi del Festival di Sanremo: le sono piaciute le canzoni di quest'anno?
Secondo me c'è stata una serata magica, quella dei duetti: Amadeus è stato proprio bravo, lasciando agli artisti grande libertà di scegliere cosa e con chi cantare. A me ha colpito Mahmood: ha fatto una versione strepitosa di «Com'è profondo il mare», con una classe incredibile e creando un'atmosfera da brividi. E sono contento per Angelina Mango: ha un grande talento, c'è gioia e amore nel suo cantare. E' una persona piena di coraggio e con la voglia di dire chi è.
Lei a Sanremo si è tolto parecchie soddisfazioni: bellissime canzoni, la vittoria del 1996, il premio della critica 2018...
Il Sanremo con Tosca è stato indimenticabile. Lei è una grande amica oltre che una delle cantanti più dotate che conosca; avevamo un testo particolare e ci siamo gustati quell'esperienza senza pensare a dover vincere a tutti i costi. Alla fine, però, credo che il messaggio di quella canzone sia arrivato alle persone anche perché hanno percepito la nostra serenità.
Nel prossimo concerto c'è l'omaggio a Luigi Tenco: a più di 50 anni dalla morte la poesia e il messaggio delle sue canzoni restano attuali?
Facevo «Lontano lontano» fin da ragazzo, quando partecipavo ai concorsi per voci nuove. Crescendo, e oggi riprendendola, ho colto tanti aspetti di quel grande autore che è stato Tenco. Aveva un mondo intimo pieno di nostalgia e di dolore ed era un cantante che dava tantissimo. L'ho ripresa perché la sento molto vicina al mio modo di essere.
Una canzone nuova, una città per cantare: dopo mezzo secolo di carriera non ci si stanca di cambiare palco ogni sera?
Per me cantare dal vivo è un regalo: sul palco sono l'uomo più felice del mondo e dunque la risposta è: No, non mi sono mai stancato.