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| 11 dicembre 2017, 08:08

Il caro-scarpa nel dopoguerra. In dieci anni il prezzo per un paio di scarpe economiche è aumentato di quasi duecento volte

Un’interessante inchiesta sui prezzi delle scarpe, condotta a Vigevano nell’autunno del 1949, quando un polacchino costava 3500 lire

Il caro-scarpa nel dopoguerra. In dieci anni il prezzo per un paio di scarpe economiche è aumentato di quasi duecento volte

Leggiamo dalle pagine de La Stampa un reportage molto curioso sul caro-vita, che focalizza l’attenzione sui prezzi delle calzatura. Siamo alla fine del 1949 e l’inchiesta è svolta anche nella città di Vigevano: “Di fronte alle varie merci — grezze o lavorate — le quali, nei confronti del 1936-1939, hanno subito un aumento di 50 e 60 volte, le scarpe oscillano da 90 a 100. E ci riferiamo alle scarpe di lusso, alle scarpe medie perchè, alle altre, è toccato un aumento anche maggiore. Quelle di 14 lire al paio non si trovano oggi a meno di duemila; un polacco già molto economico di 19 o 20 lire, è oggi a 3500.

E, purtroppo, le scarpe, così comportandosi, sono anche dalla parte della ragione. Noi possediamo un potenziale industriale capace di produrre, annualmente, venti milioni di scarpe più del necessario; il mercato è saturo; quindi i vari produttori hanno spinto fino ai limiti della tensione estrema le possibilità di concorrenza nel settore dei prezzi; ma esistono alcuni muri contro i quali non resta che cedere. Un bel “vitello”, il quale, nel 1935, costava 5,50 al piede (misura inglese) e 9-11 nel 1939 ne vuole, oggi, 850; il cuoio che, rispettivamente, valeva 7-11 lire è a 1050; gli accessori (escluso il guardolo) da 1,50 o 2 lire per paio di scarpe, sono saliti a 270 e 300 lire; la mano d'opera pesava sei lire in ogni paio di scarpe, e oggi 1000. Il fìsco si accontentava del 5 per cento, e oggi… Questa del fisco è una storia dolorosa, e mai ho udito parole più nere sul conto suo come in questi ultimi giorni a Vigevano. Esso si è abbattuto sulla città con l'impeto di una truppa vincitrice. Ha frugato registri, ricordi e sospetti, quindi secondo un metodo induttivo che risalirebbe, dicono, ai tempi di Carlo Alberto, ha distribuito tasse e multe. Anche il fisco ha le sue buone ragioni ma la produzione ha bisogno di sapere in anticipo con assoluta certezza che cosa le costa; altrimenti, va pure lei con il metodo induttivo e si premunisce tenendo i prezzi i più alti possibile. 

Il cliente italiano è molto difficile in fatto di scarpe. Esige modelli; pretende cuoio e respinge la gomma, anche se quest’ultima ha una durata cinque volte superiore al cuoio. Se si accettasse la grande produzione in serie e le suole di gomma, i prezzi delle scarpe potrebbero flettere notevolmente; è vero che l'antipatia per la gomma affonda le sue radici nel tempo della guerra, allorchè ne furono messe in commercio di sciagurate, ma oggi quest'antipatia, per le mutate condizioni del commercio e dell'approvvigionamento, è passibile di una generosa revisione. 

Il rivenditore al minuto è tacciato di esosità. Ma qui ci troviamo di fronte ad un errore di giudizio, o a un giudizio affrettato. Di fronte al dettaglianti, per esempio, svizzeri, i quali non vendono scarpe se non maggiorandole del 50 % sul costo di origine, i nostri si accontentano per lo più del 35 % e, dato il loro numero eccessivo, non sottilizzano sui mezzi per attirare il cliente: la concorrenza tra di loro è quindi attiva, senza bisogno d'incoraggiamenti, possiamo dire spietata”.

 

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