Racconti e brevi, intensi messaggi condivisi con delicatezza. Li scrive chi parte e torna in Ucraina e chi ha ospitato, li diffonde l'Aubam che si è trovata in questa situazione per via della guerra: essere un cardine in un momento in cui non si accoglievano più i bambini di Chernobyl per le cure, bensì nuclei familiari in fuga. Uniti da una problematica, sottolinea Antonio Tosi, alla guida dell'associazione a Busto Arsizio, e attivi grazie al cuore in mano di molte famiglie che hanno affrontato anche rinunce per mesi al fine di dare una mano. Rinunce che ora vengono meno eppure sono quasi rimpiante ora che ci si separa, perché essere famiglia è così.
«Su 110 presenze, ora ne restano una cinquantina» spiega intanto Tosi.
Due messaggi raccontano, nella loro differenza di provenienza, un mondo. Il primo, scritto da una famiglia italiana per ringraziare Aubam del sostegno, dipinge il momento della separazione tra due giovani donne: «Si sono salutate come sorelle, come 14 anni fa quando per la prima volta (l'amica ucraina, ndr) tornava a casa e noi piangevamo sapendo di doverla lasciare andare dalla sua famiglia». Alle spalle mesi non facili, ma una consapevolezza: «Convivere con altre culture non è una passeggiata, capirsi è un problema non solo di lingua, stringersi è a volte fin soffocante... ma comunque è necessario.. Del resto noi abbiamo ricevuto tutto e tutto in dono e l'unico merito che abbiamo è restituire un po' della nostra fortuna».
Resta la preoccupazione, accanto alla preghiera: «Che presto sia pace».
E la pace è l'augurio che una famiglia ucraina in partenza ha espresso per l'Italia che li ha ospitati. Qui troviamo riconoscenza, ancora: «Al vostro Paese, al vostro governo e a voi personalmente per la vostra partecipazione all'essenza della nostra famiglia». Le parole tracciano una promessa: «Rimarrete sempre nostri benefattori, nostri amici».