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Sport | 08 novembre 2023, 01:47

Tennis, Sinner al "gran ballo" delle Finals di Torino: in gioco lo scettro del più forte (italiano) di sempre - di Teo Parini

Più di qualcuno si è domandato in questi giorni se, fin da ora, Sinner possa essere considerato il tennista italiano più forte dell'Era Open. Vincere il Master non spazzerebbe via i dubbi ma avvalorerebbe, e non di poco, la tesi del partito del sì

Tennis, Sinner al "gran ballo" delle Finals di Torino: in gioco lo scettro del più forte (italiano) di sempre - di Teo Parini

L’ultimo Masters 1000 della stagione, quello di Parigi-Bercy, se l’è aggiudicato Novak Djokovic com’era facilmente prevedibile, soprattutto dopo il ritiro del nostro Sinner, a causa di scempiaggini organizzative che lo hanno costretto a fare le ore piccole, e le premature sconfitte di Alcaraz e Medvedev, giunti in Francia in condizioni psicofisiche rivedibili. Del resto, non avrebbe potuto creargli troppi grattacapi nemmeno l’ottimo Dimitrov di queste passate settimane, uno che se in tredici confronti diretti col serbo ha vinto una sola volta il motivo ci sarà, che, infatti, ha ceduto il passo in finale senza che quest’ultima assumesse le sembianze di un match davvero combattuto. Routine, insomma, la regola non scritta per la quale, gira e rigira, se Djokovic si degna di giocare, il torneo lo vince sempre lui.

Anche quando lo stomaco non gli dà tregua per l’intera settimana, come appena successo. Così, per mandare in archivio la stagione restano solo le Nitto ATP Finals, quelle che una volta si chiamavano Master, consueta kermesse che raccoglie i migliori otto giocatori al mondo in base ai risultati conseguiti nell’anno solare in corso e attribuisce al vincitore io titolo, appunto, di Maestro. Per chi se lo ricorda, torneo che per diversi anni a cavallo tra il 1970 e il 1980 si è disputato a New York sul caratteristico campo senza corridoi prima di tornare ad essere più o meno itinerante. Dal 2021 è Torino la città ospitante e, a quanto pare, con risultati in termini di partecipazione, quindi di incasso, assai lusinghieri.

A contendersi un assegno che sfiora i cinque milioni di euro saranno, dunque, Djokovic, Alcaraz, Medvedev, Sinner, Rublev, Tsitsipas, Zverev e Rune. È ciò che passa il convento, poco se si pensa che non troppo tempo fa erano Federer, Nadal, Murray e Wawrinka a impensierire quel diavolo Djokovic. Comunque, nell’attesa della composizione dei due gironi – perché da sempre la formula prevede i round robin per la definizione delle semifinali incrociate – si possono già fare alcune considerazioni. La prima, banale, è se Djokovic, uno a cui i record piacciono come le noccioline a Pippo di Topolino, riuscirà a vincere le settime Finals sopravanzando Federer fermo definitivamente a sei, oppure se qualcuno dei competitor abbia la possibilità concreta di impedirglielo. A leggere tra le pieghe della stagione, la risposta sembrerebbe scontata, perché il serbo ha perso la miseria di cinque partite in tutti e solo a Wimbledon deve essergli realmente dispiaciuto. Quindi verrebbe da dire di no. Anche perché la formula stessa del Master gli consentirebbe, almeno in linea teorica, di perdere un incontro anche prima delle semifinali senza dover necessariamente lasciare Torino. Insomma, per non vederlo trionfare di nuovo rischiano di dover avvenire in una sola settimana la metà delle sconfitte, cioè due, che Djokovic ha patito in undici mesi: difficile.

La seconda, un po’ meno banale, è provare ad ipotizzare chi potrebbe ritrovarsi in finale e, riallacciandoci alla prima, quali e quante possibilità avrebbe per non recitare, poi, la parte della vittima sacrificale. Detto che Alcaraz in condizioni accettabili, che peraltro pare non avere, è il tennista tecnicamente più forte in circolazione e che Medvedev resta un avversario complicato per tutti, anche se la spia della riserva del russo si è accesa, sembrerebbe proprio il nostro Sinner quello con le migliori credenziali in questo momento, per quanto fatto vedere a Tokyo e a Vienna ma non solo. Il problema non marginale per Jannik è che, ad oggi, contro il numero uno del mondo non ci ha mai vinto e nemmeno ci è mai andato vicino mentre, tanto per dire, sia Alcaraz che Medvedev hanno saputo sconfiggerlo anche in una finale Slam. Inutile dire quanto averlo già battuto gioverebbe all’aspetto mentale. Tuttavia, a suscitare un minimo di ottimismo ci sono ulteriori due aspetti. Si gioca al meglio dei due set su tre, ed è tutto un altro sport rispetto alle condizioni di tre set su cinque che negli ultimi head-to-head hanno finito per premiare la testa robotica di Djokovic, e il campo è dotato di una superficie veloce, tendente al velocissimo, che può agevolare i piani tattici arrembanti dell’azzurro; uno che quando conduce le operazioni del gioco, transitando su velocità di palle ipersoniche, diventa micidiale anche per i migliori contrattaccanti del circus. In soldoni, due ore di apnea, con il piede pigiato a fondo sull’acceleratore, Jannik le potrebbe avere per le mani e, chissà, potrebbero essere sufficienti qualora Nole fosse quello appena visto a Parigi-Bercy e quindi decisamente lontano dal suo acme. Più per limiti anagrafici che per meticolosità: Djokovic agli appuntamenti importanti si presenta sempre con il vestito migliore che ha. La speranza è che, a quasi trentasette anni, possa non essere più il frac di qualche primavera fa.

Detto di Alcaraz, che se per magia facesse sparire le scorie di una stagione densa come il piombo potrebbe fare sport a sé, di Medvedev e di Sinner, si fatica a trovare nei restanti quattro partecipanti motivo di particolare interesse. Rune è forte, anzi fortissimo ma prima di Parigi-Bercy non azzeccava un set da mesi, tipiche bizzarrie giovanili. Lui, Djokovic sa come batterlo ma da uno appena uscito dal tunnel non è lecito aspettarsi più di tanto. Tsitsipas, più bello che vincente, quest’anno ha fatto il compitino senza concedersi mai la lode. Ha chiuso tra i primi otto, tra un litigio col padre e l’altro, ma senza mai dare l’impressione di poter centrare il bersaglio grosso.

Rublev, invece, ha fatto assai bene, in linea con le sue qualità soprattutto mentali non sempre da primo della classe. L’impressione, però, è che gli manchi sempre un centesimo per fare l’euro quando affronta i più bravi. Infine, c’è Zverev che merita un discorso a parte. Quando al Roland Garros del 2022 si distrusse la caviglia mentre contendeva degnamente il passaggio del turno a Nadal, il tedesco sembrava essere finalmente arrivato dove un po’ tutti si aspettavano arrivasse: in alto. Nonostante qualche impiccio giudiziario fuorviante e ancora da chiarire, si apprestava a recitare in pianta stabile un ruolo da protagonista anche nei Major quando la sorte lo ha fisicamente appiedato costringendolo ad un lunghissimo percorso di recupero dal quale non è ancora del tutto uscito. Il timore è che ai livelli antecedenti l’infortunio potremmo non rivederlo più e nell’immediato sarebbe davvero un miracolo vederlo superare i gironi qui a Torino.

In definitiva, sulla carta sono diverse le congiunture favorevoli a Sinner e, pertanto, non sarebbe così peregrina l’eventualità di vederlo sfidare, tra semifinale e finale, il favoritissimo Djokovic. Più di qualcuno si è domandato in questi giorni se, fin da ora, Sinner possa essere considerato il tennista italiano più forte dell’Era Open. Vincere il Master non spazzerebbe via i dubbi ma avvalorerebbe, e non di poco, la tesi del partito del sì. E, ciò che più conta, sarebbe una meravigliosa prima assoluta per l’Italia. Buone Finals a tutti.

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