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Cronaca | 14 novembre 2023, 12:28

Mortara, ex Bertè: per il secondo filone dell'inchiesta il pm chiede altre 3 condanne

La penultima udienza del processo si è celebrata ieri al Tribunale di Pavia

Mortara, ex Bertè: per il secondo filone dell'inchiesta il pm chiede altre 3 condanne

7 anni per Andrea Carlo Biani, 6 anni per Vincenzo Bertè, 3 anni per Vincenzo Ascrizzi. Queste le richieste di condanna formulate dal pm, Paolo Mazza, nella penultima udienza del processo originato dalle indagini susseguenti all’incendio al deposito di rifiuti di via Fermi a Mortara avvenuto nel settembre 2017. Vincenzo Bertè è già stato condannato, in primo grado, a 4 anni per l’accusa di aver materialmente appiccato le fiamme.

In questo altro processo le accuse nei suoi confronti sono, in concorso con il socio Andrea Biani, quelle di traffico illecito di rifiuti, bancarotta fraudolenta, false fatturazioni e autoriciclaggio. Biani, non essendo stato coinvolto nell’altro processo, sconta in questo procedimento anche l’imputazione per l’incendio vero e proprio, che è accusato di aver voluto e programmato insieme a Vincenzo Bertè. Secondo la tesi del pm, i due avrebbero iniziato ad accumulare rifiuti in maniera anomala nel deposito di via Fermi dal 2012.

La situazione si sarebbe aggravata nel 2015, quando la gestione dell’impianto è passata, nominalmente, da Bertè a Biani. Per l’accusa i due avrebbero comunque portato avanti sempre insieme la gestione dell’impianto, arrivando ad accumulare 17.000 metri cubi di rifiuti: oltre il doppio rispetto ai 7.000 metri cubi previsti dall’autorizzazione.

La gestione, sempre secondo le accuse, avrebbe portato a circa due milioni di euro di profitti illeciti, considerato quando sarebbe costato trattare e ridistribuire i rifiuti accolti in eccedenza, oltre alle tasse che si sarebbero dovute pagare. I moduli con cui si registravano i rifiuti in entrata e in uscita, invece, facevano figurare una gestione virtuosa, secondo i limiti previsti dall’autorizzazione ambientale. Un fatto che l’accusa ha ritenuto come prova dell’azione dolosa dei due soci.

La difesa ha sempre sostenuto che una buona parte dei rifiuti presenti in via Fermi fosse stata trattata e separata, e quindi, secondo la legge, da escludere dai conteggi. La lavorazione del materiale, però, come ritenuto dall’accusa citando diverse testimonianze, non sarebbe stata fatta, tanto che i cumuli di rifiuti erano indistinti.

Questa distribuzione indiscriminata, a riempire l’intero piazzale, ha inasprito le conseguenze dell’incendio e reso difficoltose le operazioni di spegnimento. Un incendio (questo il movente ricostruito dall’accusa) voluto per evitare il controllo Arpa previsto proprio nel giorno in cui sono divampate le fiamme, e il cui esito avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per l’azienda.

La requisitoria del pm, però, non si ferma qui, e analizza anche il periodo successivo all’incendio: con la ditta Eredi Bertè ormai insolvente, Vincenzo Bertè e Andrea Biani avrebbero provveduto a svuotarla, innanzitutto togliendole la proprietà della DEA, una società che costituiva di fatto il salvadanaio del gruppo e che assicurava buone entrate di denaro. La proprietà della DEA venne inizialmente girata alla Eco Delphi di Biani e poi alla MVR di Ascrizzi, che entra qui in gioco con l’accusa di riciclaggio. L’obiettivo, sempre secondo la tesi accusatoria, era di lasciare alla Eredi Bertè, ormai avviata al fallimento, soltanto i debiti e tenere la parte che assicurava reddito nell’orbita della famiglia Bertè.

Un intreccio societario tra denaro e rifiuti, quindi, meritevole di condanna secondo il pm. Nel processo sono parti civili il comune di Mortara, le società a partecipazione pubblica AsMortara e AsMare e le associazioni ambientaliste Futuro Sostenibile in Lomellina e Legambiente. Tutte si sono unite alle richieste di condanna del pm e hanno chiesto risarcimento danni. Le difese degli imputati replicheranno nell’udienza in programma il 4 dicembre. Dopodiché, per gennaio, è attesa la sentenza.

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