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Attualità | 17 maggio 2025, 11:09

Vigevano: “La mia storia su un barcone della speranza”. Remon Karam, giovane egiziano copto, si racconta ai ragazzi delle terze medie della Robecchi

A 14 anni ha lasciato il suo Paese, senza dirlo a nessuno tranne al fratello, con in tasca una sua fototessera

Vigevano: “La mia storia su un barcone della speranza”. Remon Karam, giovane egiziano copto, si racconta ai ragazzi delle terze medie della Robecchi

«Non esiste un mondo diviso tra buoni e cattivi. Il bene e il male sono ovunque»: con questa riflessione, intensa e lucida, Remon Karam ha aperto venerdì mattina l’incontro con le classi terze della scuola media Robecchi. Una testimonianza che ha scosso e commosso studenti e insegnanti, tra silenzi profondi e occhi lucidi.

Remon è cristiano copto e, come racconta con fierezza, non ha mai perso la fede. Anzi, è proprio la sua fede ad averlo spinto a lasciare l’Egitto, dove le persecuzioni contro i cristiani si sono fatte più violente dopo la Primavera araba. Il punto di non ritorno è arrivato con l’uccisione del cugino, freddato all’uscita della chiesa. «A quel punto non c’era più scelta: dovevo fuggire, dovevo sopravvivere».

A 14 anni ha lasciato il suo Paese, senza dirlo a nessuno tranne al fratello, con in tasca una sua fototessera. «L’ho stretta per tutto il viaggio. Era tutto ciò che mi restava della mia famiglia». Cinque giorni prima della partenza, Remon è stato rapito dai trafficanti, che hanno chiesto alla famiglia un riscatto di 4.000 euro. «Se non avessero pagato, mi avrebbero buttato in mare».

Il viaggio verso l’Italia è stato un inferno: 180 persone ammassate su un barcone guidato da un sedicenne, sette giorni di mare, riso bollito in acqua salata e sorsi d’acqua contaminata con benzina per scoraggiare chiunque a bere troppo. «Pregavo, speravo, resistevo. Ma la paura era ovunque».

Lo sbarco a Portopalo, in Sicilia, avrebbe dovuto essere una liberazione, ma è stato anche un momento di spersonalizzazione. «Quando arrivi, sei solo un numero. Io ero il 90. Nessuno ti chiede chi sei, da dove vieni, cosa hai vissuto».

Poi, la svolta. Essendo minorenne, Remon è stato affidato a una famiglia di Augusta, che dopo quindici anni di tentativi falliti di adozione, ha finalmente accolto un ragazzo in cerca di futuro. «Mi hanno trattato come un figlio. Grazie a loro ho studiato, mi sono laureato, e oggi mi sento, come dico spesso, a tutti gli effetti un siciliano».

Determinante anche l’incontro con la giornalista e scrittrice Francesca Barra, che lo ha accolto a Milano come un figlio e lo ha aiutato a raccontare la sua storia nel libro Il mare nasconde le stelle. Un’opera che ha dato voce a un percorso di dolore e rinascita.

«Voglio diventare ambasciatore per i diritti umani, ma per farlo ho bisogno della cittadinanza italiana», ha spiegato agli studenti, che lo hanno ascoltato con commozione e partecipazione. E ha lanciato un messaggio chiaro: «Non tutti i migranti vengono trattati allo stesso modo. Esistono immigrati di serie A e di serie B, e questo è profondamente ingiusto».

Il racconto si è chiuso tra le domande degli studenti. Una mattinata di emozioni e consapevolezza, in cui Remon ha ricordato che dietro ogni migrante c’è una persona. «Non si può giudicare senza ascoltare. Solo conoscendo le storie si può costruire un futuro più giusto».

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